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Sono passati 15 anni dall’uscita di Just for Sensitive People (2004), secondo disco solista di Gabor Lesko che suscitò il vivo interesse di Axe. Da allora il chitarrista e compositore milanese, forte di natali nella musica, di studi sia classici che jazz e di un’attività come turnista e arrangiatore nel pop dei buoni nomi italiani, ha dato vita ad altri quattro album, con FingerFusion Project ultimo uscito. Un titolo programmatico, come ci spiega nella nostra intervista Gabor, per un album che un ascolto superficiale potrebbe catalogare nella musica genericamente "da ascolto". Ponendo attenzione, si avverte invece uno spessore inusuale, dovuto ai tanti movimenti che vitalizzano le tracce; movimenti armonici, ritmici e melodici così ben integrati e coesi nella composizione e nell’arrangiamento – arti di cui Gabor si dimostra maestro – da rendere il lavoro tanto variegato e ricco quanto pastoso e artisticamente omogeneo. Oltre che del pennino, della chitarra e del pianoforte dell’autore, il disco si avvale delle pelli e dell’aiuto nella produzione di Simon Phillips e del sax di Eric Marienthal. Il ruolo di bassista è affidato alternativamente ai fidati Mario Guardini e Andrea Cocilovo, che nell’occasione apprezziamo molto… con due corde in meno! Ospite in tre brani Jimmy Haslip. Altro ospite di rilievo Chad Wackerman, alla batteria in Wide. In FingerFusion Project, proprio per costruire un suo fraseggio acustico-fusion, Gabor Lesko porta a compimento il lungo sviluppo di una personale tecnica chitarristica eseguita con le dita sulla chitarra acustica, mischiando fingerstyle e… sweep picking, usando l’indice a mo’ di plettro. Anche se strutture inusuali, tempi dispari e composti sono i mattoni del disco, definire questo lavoro solo prog sarebbe limitativo. L’atmosfera è più ampia, quella dell’ottima musica strumentale contemporanea, tra fusion, progressive, pop e altro. Ad esempio, gli inserti orchestrali di We Are So Small ci parlano anche di musica sinfonica, ma in chiusura Gabor mostra la sua notevole tecnica rock sull’elettrica (oltre a una voce di tutto rispetto). La title track, con il tempo mirabilmente portato da Phillips e la struttura armonica dipanata tra archi digitali e chitarra acustica, porta alla memoria il Pat Metheny Group degli esordi. Di gran classe tutti gli interventi del sax soprano di Marienthal, con pregevoli scambi tematici e solistici con la chitarra acustica del leader (vedi Lost in You, Faith & Glory). Non manca una ispirata ballad passionale con l’elettrica protagonista, New Horizons, dei cui prodromi ci parla Gabor nell’intervista che segue…