JIMI HENDRIX
Ci sono stati chitarristi dotati di grande tecnica, interpreti col dono della comunicazione, innovatori che hanno cambiato il modo di concepire lo strumento, sperimentatori che hanno inventato nuove tecniche espressive, ma in Hendrix tutte queste caratteristiche si trovano, in misura impressionante, riunite in un coerente disegno artistico. Con uno stile estroverso, spettacolare, disinibito, ha usato, più di ogni altro, tutti gli elementi della chitarra, dal selettore alla leva, dai controlli di tono alle sfumature ottenibili misurando il tocco, ottenendo dallo strumento una totale sottomissione alla sua forza espressiva, ottenendone qualsiasi suono immaginabile, con effetti talvolta eccessivi, ma sempre giustificati da una esigenza di comunicazione che sembra trascendere gli stessi confini musicali. AII’inizio della sua avventura londinese ha inciso i suoi successi maggiori, con brani come Purple Haze, Hey Joe, Red House, ormai considerati classici, ma si vanno riscoprendo Ie sue incisioni più sperimentali, a iniziare da alcune tracce di Electric Ladyland a Rainbow Bridge, ma la verità è che Jimi ha lasciato un panorama musicale così vasto che a decenni di distanza ci sono ancora angoli da esplorare. Quasi non gli bastasse più la sola chitarra, con Electric Ladyland usa lo studio come un’estensione dello strumento, piegandolo alla sua fantasia e traendone, come ha fatto con la Stratocaster, effetti e sonorità che nessuno aveva mai osato ritenere possibili. La sua influenza va oltre Ie armonie usate, la strumentazione sulla quale si hanno continue rivelazioni, la diteggiatura e la padronanza della scena, ma coinvolge aspetti meno misurabili, come I’attitudine verso la musica, I’ossessiva rincorsa di una perfezione che si sa irraggiungibile, la scoperta di una fragilità che porta nella trappola di un successo desiderato e odiato a un tempo, come una femme fatale da film noir. Molto più che un episodica apparizione, c’e ancora molto che Hendrix può aiutarci a capire.
Mario Milan