Le radici della fusione stilistica tra jazz e rock si sviluppano verso la fine degli anni Sessanta, epoca estremamente densa di frenetici cambiamenti, sia sociali che musicali. Come spesso accade nella storia delle arti, non si può indicare un inventore di questo nuovo genere, quanto piuttosto una serie di sperimentatori che in quegli anni, cogliendo un’esigenza che era nell’aria stessa di quel periodo, si spinsero simultaneamente alla ricerca di qualcosa di musicalmente nuovo e mai tentato prima.
Non che nel jazz le tendenze innovative mancassero, come dimostra quel free jazz che si andava diffondendo, sebbene con presupposti totalmente diversi, in quegli stessi anni. Tuttavia l’incontro tra i due linguaggi avvenne in un contesto culturale che sembrava già pronto per accogliere questo nuovo genere, come dimostrarono le enormi vendite ottenute nel giro di pochi mesi da molti dei primi dischi di jazz-rock.
Sebbene la maggior parte dei critici indichi in Miles Davis l’ideatore del connubio tra i due mondi, bisogna ricordare che, come prima accennato, altri musicisti, prima o contemporaneamente a lui, tendevano a muoversi in quella direzione.
Su tutti va ricordato il vibrafonista Gary Burton che già intorno al 1967 aveva cominciato a inserire elementi derivati dal rock nei suoi gruppi, a cominciare da un’attenzione proprio per la chitarra intesa nella sua versione più “elettrica”, affidata a Larry Coryell. La scelta di Coryell non era casuale, dato che questo chitarrista aveva formato nel 1966 i Free Spirits, da alcuni indicati come il primo vero gruppo di jazz-rock. La musica che Gary Burton proponeva era quindi un pionieristico tentativo di accostamento di elementi che può essere ascoltato in dischi come Lofty Fake Anagram del 1967 con Coryell o Country Roads & Other Places del 1968, dove la chitarra è nelle mani di Jerry Hahn.
Il 1969 fu poi un anno di svolta, a seguito della pubblicazione di almeno tre incisioni che avrebbero segnato la definitiva nascita del nuovo genere: Emergency! del trio Lifetime fondato dal batterista Tony Williams, Extrapolation del chitarrista John McLaughlin e In A Silent Way di Miles Davis. Come sempre, il trombettista aveva rapidamente intuito la potenzialità espressiva del nuovo linguaggio e si era circondato dei musicisti più talentuosi che ne animavano le sorti. Non a caso infatti, i musicisti presenti su In A Silent Way, così come nel successivo doppio Bitches Brew, del 1970, saranno tutti protagonisti di primo piano, negli anni successivi, del jazz-rock: i pianisti-tastieristi Herbie Hancock, Chick Corea e Joe Zawinul, il batterista Tony Williams, il bassista Dave Holland, il sassofonista Wayne Shorter e ancora John McLaughlin. Il successo di vendite di Bitches Brew è mondiale, il disco diventa ben presto una specie di manifesto del jazz-rock e a quel punto le migliori energie creative di quella generazione tendono a sperimentare la fusione tra generi diversi.
La ricerca in questa direzione avviene in maniera contemporanea anche sul versante rock: ne sono la testimonianza album, usciti sempre nel 1969, quali Hot Rats, ad opera di Frank Zappa o Valentyne Suite, dell’anno successivo, da parte dei Colosseum guidati dal batterista Jon Hiseman, così come le prime incisioni dei Soft Machine.
Nel 1970 Larry Coryell registra, insieme a Chick Corea, Miroslav Vitous, McLaughlin e Billy Cobham, Spaces mentre Joe Zawinul e Wayne Shorter fondano i Weather Report, che da quel momento e per circa tre lustri costituiranno un punto di riferimento assoluto nel settore. Il solido retroterra jazzistico di Zawinul e Shorter fa sì che la musica proposta dal gruppo sia tra le più jazz del nuovo panorama, senza quelle massicce dosi di influenze rock che altre band andrannoa proporre. Un disco storico del loro primo periodo è Mysterious Traveller, del 1974, mentre tra i vari successi degli anni seguenti non si può non citare Heavy Weather, del 1977, contenente l’arcinota Birdland e un Jaco Pastorius in stato di grazia assoluta. È da notare che i Weather Report, più di altre band, fornirono lo spunto qui in Italia per la nascita di alcune eccellenti formazioni, tra cui in primo piano troviamo il Perigeo, Napoli Centrale e Baricentro.
Parlare di jazz-rock significa poi incrociare a più riprese il nome di John McLaughlin: il vulcanico e ultravirtuosistico chitarrista, fin dagli inizi figura primaria del nuovo linguaggio, dà vita nel 1971 alla Mahavishnu Orchestra, ensemble in cui figurano tra gli altri il batterista Billy Cobham e il tastierista Jan Hammer.
Il loro primo album The Inner Mounting Flame, propone una miscela del tutto originale, caratterizzata da volumi sonori pari a quelli dei gruppi rock, virtuosismo tecnico spinto agli estremi, complessità delle composizioni e un’apertura a 360 gradi verso i linguaggi percorribili, siano essi provenienti dal jazz, dal rock o dalla musica indiana. Sebbene il jazz-rock sia solo una delle svariate tendenze stilistiche da lui coltivate, McLaughlin ha poi continuato a proporre altre significative incisioni in questo ambito e Electric Guitarist del 1978 ne è la prova.
I primi anni del jazz-rock sono poi segnati dalla nascita nel 1972 dei Return To Forever a opera di Chick Corea, formazione in cui milita tra gli altri il giovane bassista virtuoso Stanley Clarke. Nei primi anni il gruppo propone un jazz elettrico in cui l’elemento jazz-rock è più echeggiato che non apertamente presente, come il primo disco Return To Forever del 1972 dimostra. Negli anni seguenti però il gruppo cambia direzione e l’inserimento della chitarra elettrica, dapprima affidata a Bill Connors e poi ad Al Di Meola, porta a lavori quali Where Have I Known You Before del 1974, in cui l’elemento rock è molto più presente. Similmente a quanto accaduto con Davis, anche qui i collaboratori di Corea tenderanno poi a formare gruppi propri, spingendo in questo caso ulteriormente il linguaggio verso l’ambito più marcatamente rock. È quello che succede tanto con Stanley Clarke, che proporrà nel 1976 School Days, quanto con Al Di Meola, che incide nel 1977 Elegant Gypsy, in cui l’elemento jazzistico è praticamente assente.
Il quadro di questa stringata e superficiale panoramica sugli inizi del fenomeno jazz-rock non sarebbe completo senza citare Herbie Hancock, altro caposaldo del pianismo jazz nonché ex collaboratore di Davis, che nel 1973 aveva inciso Head Hunters, in cui proponeva un jazz-rock fortemente intriso di funk e centrato sul groove delle ritmiche. Il disco vendette più di un milione di copie e aprì la strada a miriadi di imitazioni successive, in cui però troppo spesso l’elemento di genuina ricerca cedeva il passo a soluzioni dalle finalità apertamente commerciali.
Di fatto ormai il jazz-rock o, come spesso venne poi definito, la fusion, era ormai una realtà con cui si confrontarono una larghissima parte di musicisti. Negli anni Settanta il jazz-rock faceva capolino un po’ ovunque, nelle colonne sonore dei film così come nelle produzioni del pop. Non si sottrassero alla tentazione di incidere dischi dal sapore fusion neanche jazzisti tra i più ortodossi, chi per reali intenzioni di sperimentazione chi per scopi di pura vendita. Nel primo gruppo ci limiteremo a segnalare come esempio Pat Martino, che nel 1976 propose una sua personale visione della fusion nel disco Starbright, in cui ritroviamo echi sia di Weather Report che dell’Herbie Hancock di Head Hunters.
Naturalmente una storia dei primi anni della fusion dovrebbe comportare l’inclusione di decine di altri nomi, a partire dai Brecker Brothers [qui la redazione di Axe ricorda la triste circostanza della recente scomparsa del grande sassofonista Michael Brecker; ndr] passando per Spyro Gyra, Dave Grusin, Yellowjackets e così via. Di fatto quelli che abbiamo elencato sono i punti di partenza storici di un genere che, tra luci e ombre, conosce tuttora un suo largo seguito. Basterà seguire gli sviluppi personali dei musicisti che su quei dischi erano presenti per ricomporre buona parte del suo vasto panorama.
Michele Ariodante