Chitarrista “alto” di Elio e le Storie Tese (d’ora in poi EelST), l’unica band che ha vinto il Festival di Sanremo arrivando seconda, Davide Civaschi in arte Cesareo (con l’accento sulla a!) suona anche con La Notte delle Chitarre, con i Four Tiles, e vanta collaborazioni con molti artisti del panorama italiano, tra cui Daniele Silvestri, Massimo Riva, Stefano Nosei, Paola e Chiara, Claudio Bisio...
Cesareo è uno dei tre chitarristi che anche mia zia riconosce: gli altri due sono Paul McCartney (che per lo più suona il basso, ma è inutile spiegarle che è un altro strumento) e Claudio Baglioni che, visto che va in TV con la chitarra al collo, per la maggior parte della gente è automaticamente un chitarrista. Cesareo è dunque l’unico vero chitarrista conosciuto da mia zia: questo per dire che il giorno della sua clinic, all’entrata del 2steps2 Jazz Club di Orbetello (GR), c’era un discreto capannello di uomini col bors... ehm di chitarristi, ma anche di semplici curiosi accorsi per vedere “l’Alfiere del Bel Suono degli Elii”. Sull’inspiegabile presenza di cinque ragazze (tre secondo la questura, apparentemente non affiliate a clan chitarristici noti) stanno indagando i servizi segreti bulgari.
Durante il seminario, Cesareo ha raccontato la sua visione della chitarra con competenza, estro e chiarezza, riuscendo a coinvolgere la platea per due ore e mezzo: il pubblico a sei corde, composto da “ragazzi di tutte le età”, non ha mancato di inondare il chitarrista con domande di ogni tipo, tra cui le ovvie “Cosa devo studiare per diventare un professionista?”, “Sono meglio gli ampli a valvole o a transistor?”, “Che ne pensi di John Petrucci?”, alle quali Cesareo ha risposto in maniera puntuale e simpatica. Dal punto di vista tecnico molta importanza è stata data a quegli aspetti spesso trascurati anche dai professionisti: timing, tocco, intonazione, sviluppo melodico... Ingredienti solo apparentemente semplici, ma che in realtà contraddistinguono i grandi musicisti dai semplici suonatori.
Tra un aneddoto e l’altro si fa l’ora di cena e Cesareo, dopo aver regalato a ogni partecipante un CD con le basi usate durante la clinic, non esita a sottoporsi al massacrante rito di foto e autografi: la chiacchierata che segue mette in luce un vero amante del nostro strumento che, a dispetto di trent’anni di carriera alle spalle, conserva negli occhi lo sguardo sognante e modesto di un esordiente.
Prima di cominciare potresti fornire ai lettori un compendio ragionato dalla nutrita antologia degli a.k.a. che ti sei guadagnato in quasi 30 anni di carriera?Sono tantissimi, ne elenco alcuni dei più simpatici: Ciobarelli, Ciuaschi, Civas, Civa, Fitasgi, Personacchi, Cicatricee non può mancare Cesarèo!
Con Elio e le Storie Tese ti trovi ad affrontare gli stili più disparati: che tipo di percorso hai affrontato per poter suonare con disinvoltura, magari all’interno dello stesso brano, generi così diversi?Ho sempre ascoltato di tutto fin da bambino. Spesso mi capitava di uscire da un negozio di dischi con 3 o 4 LP completamente diversi tra loro: compravo un disco dei Beatles, uno dei Deep Purple e l’ultimo di Olivia Newton-John. Bisogna sottolineare che quando ero un giovinotto i dischi costavano molto meno e ci si poteva permettere di spendere qualche lira “al buio”, giusto per esplorare: non esisteva ancora Internet e le radio non trasmettevano molte novità, almeno riguardanti i miei gusti musicali.
Una volta c’erano i dischi e i concerti: come fa oggi un ragazzo, investito da una mole incredibile di informazioni, a trovare il proprio suono?Il suono è dentro di te, magari non te ne sei ancora accorto ma lo scoprirai col tempo e l’esperienza. Mi sono spesso trovato a lavorare con chitarre o amplificatori dalle caratteristiche molto diverse fra loro e, riascoltando nel tempo quello che ho fatto, mi sono accorto di avere sempre un timbro ben definito, a volte più bello a volte più brutto, dipendeva da cosa avevo utilizzato... Ma è chiaro che avevo già un suono in testa, si trattava di trovare la chitarra e l’amplificatore giusti per ottenerlo esattamente come lo volevo. Le chitarre Ibanez e gli amplificatori Engl e Line 6 sono gli strumenti che attualmente riproducono il mio suono.
Molti colleghi lodano il tuo suono curatissimo, riconoscibile e sempre appropriato alla situazione: come sei arrivato a coniugare versatilità e personalità?Ho cercato sempre di far coincidere il mio suono con l’esigenza del momento. Creo un suono che mi sembra adatto a ciò che andrò a realizzare: faccio partire la base del brano e lo provo sopra per vedere se funziona. Se, riascoltandolo, devo agire troppo sul volume o sull’equalizzatore per farlo uscire vuol dire che, seppur bello, non è il suono giusto per la canzone, quindi cerco subito di trovare un’alternativa.
Che tu lo faccia sul serio o per prendere in giro i guitar hero, padroneggi la maggior parte delle tecniche del chitarrista virtuoso…Ho cominciato subito a suonare con la pennata alternata; all’inizio è stato un inferno, poi col tempo mi sono trovato bene ed è il modo di fraseggiare che prediligo. Tutto il resto mi è venuto quasi senza che me ne accorgessi, più per emulare o scherzare su certi modelli musicali che per esigenza vera e propria di allargare la mia tecnica. In ogni caso ci vuole molto impegno e costanza: l’amico e collega Donato Begotti su questo è il numero 1.
Quando suoni su modulazioni armoniche impegnative o cambi di metro repentini come ti comporti? Prepari tutto, improvvisi seguendo i cambi o vai semplicemente a orecchio?Il primo approccio è provare a suonare d’istinto e vedere di raccogliere qualcosa d’ascoltabile; dopo mi guardo gli accordi e costruisco su di loro parte della frase: un esempio su tutti è il solo di Tapparella [da Eat The Phikis, Aspirine/BMG, 1996; tutti i dischi citati sono di EelST. Nda]. Sui cambi di tempo repentini tento di costruire la ritmica o il solo cercando una frase o un riff che corrisponda al cambio di tempo o misura: ad esempio, la ritmica di John Holmes [titolo completo John Holmes (Una vita per il cinema), da Elio Samaga Hukapan Kariyana Turu, Psycho/CBS, 1989] in un punto gira su 13/8 e ho costruito il riff in maniera da non stare a contare, perché il riff stesso ha quella durata. Un po’ di furbizia, tutto qui.
Chi sono oggi i tuoi riferimenti musicali e chitarristici?Quelli di oggi non sono tanti: mi piacciono molto Andy Timmons, Doug Seven, chitarrista pazzesco che ho scoperto per caso su YouTube, e Stef Burns... Ormai ce ne sono tantissimi e tutti bravi! Da ragazzo sono rimasto fulminato ascoltando Ritchie Blackmore con i Deep Purple e Maurizio Solieri con il primo Vasco [Rossi]: non avevo ancora sentito un chitarrista italiano con un gusto così spiccato nel fraseggio. Poi naturalmente viene Brian May, che adoro; mi piace molto Kee Marcello: velocità, precisione e tanto gusto, uno dei miei preferiti.
Hai ancora una routine regolare di studio o ti mantieni in allenamento solamente grazie ai live?Studio e mi alleno ancora con discreta continuità. Ci sono tanti colleghi italiani che mettono in rete materiale didattico interessante; spesso vado a curiosare e scopro sempre nuovi stimoli per attaccare la chitarra e mettermi a suonare: uno di questi è Massimo Varini, mi piace molto.
In concerto non ti riposi un attimo: accompagni, fai i soli, i cori...suoni la clave su El Pube [da Eat The Phikis]... Come organizzate le prove per mettere su lo show?Lavoro molto a casa, cerco di prepararmi da solo per non far perdere tempo in sala prove. Non facciamo mai tantissime prove in termini di tempo, cerchiamo di provare con qualità senza sprecare energie.
Siete forse la band che ha fatto uscire più dischi live al mondo: ogni concerto viene registrato e commercializzato la sera stessa con la famosa formula CD Brulé: come è nata l’idea?L’idea è venuta al nostro ex-manager Marco Conforti e non è stato molto difficile realizzarla: registriamo su un [computer] Mac left/right [cioè, una registrazione stereo, non multitraccia; ndr] con un pre-mix generale che arriva direttamente dal banco di sala, gestito dal nostro fonico di fiducia, Foffo Bianchi. La registrazione viene editata e “baunsata” [italianizzazione di bouncing, cioè un’esportazione stereo delle tracce presenti nella pool del sequencer] al momento, e subito dopo un “CD Master” viene inserito nei duplicatori; dopodiché il CD registrato è solo da inserire nella sua copertina pre-stampata di tutto punto e il gioco è fatto! Bisogna solo essere consci che qualunque “svarione” fatto quella sera rimarrà indelebile per generazioni di ascoltatori.
Argomento spinoso: internet e musica.Internet e musica sono un connubio perfetto. Da bambino non avrei mai immaginato di schiacciare un tasto e ritrovarmi dopo poco una canzone da ascoltare senza uscire di casa per comprarla. È il “per comprarla” il punto dolente: se non si trova il modo di retribuire chi crea la musica si rischia l’estinzione del musicista. Anche il panettiere rischierebbe grosso se un domani trovassero il modo di far uscire da una speciale stampante un croccante sfilatino di pane, gratis.
Puoi descrivere il tuo setup?Sia in studio che live uso una testata Engl 4 canali Limited Edition con una cassa 4x12”. Un pedalino [overdrive] Ibanez Tube Screamer [TS9], un chorus e un flanger, sempre Ibanez. In situazioni più ristrette, uso l’ampli Flextone II della Line 6. Le corde sono Dean Markley .009/.042 e... non chiedetemi quanto sono spessi i miei plettri perché...Non lo so!
In Italia sei stato il primo ad avere un endorsement con Ibanez: sei partito con delle RG customizzate per arrivare a un modello Cesareo Signature RGTH57…La mia chitarra ha la forma di una normale RG: Ibanez mette a disposizione delle forme predefinite da personalizzare ma nulla più. All’inizio suonavo una Fender Stratocaster abbassando molto il pickup centrale perché mi dava fastidio, lo prendevo con il plettro durante le esecuzioni. La mia Ibanez non ha un pickup centrale, ma due humbucker posizionati rispettivamente al manico e al ponte e il selettore a cinque posizioni per tutte le possibili combinazioni. Il disegno sul corpo, pensato dal mio fratellino, è un omaggio a Van Halen, suo mito da sempre. Negli anni il disegno non è mai cambiato se non nelle colorazioni.
In tempi non sospetti - quando ancora non si parlava di modelli fisici - hai registrato delle parti importanti di chitarra con mezzi come il multieffetto Zoom 9002. Puoi suggerire qualcosa ai lettori su come ottenere il miglior suono possibile dalla propria strumentazione?Come dicevo, il suono è gia dentro di noi, a volte basta poco a tirarlo fuori. In Uomini col borsello [il titolo completo è Uomini col borsello (Ragazza che limoni sola), da Italyan, Rum Casusu Çikti, Hukapan/Sony, 1992], dopo una lunga giornata passata a fare chitarre più o meno definitive, il buon Feiez [al secolo Paolo Panigada, scomparso nel 1998, polistrumentista e tecnico del suono con EelST], prima di spegnere tutto, mi dice: “Prova a spararti un solo sul finale, giusto per risentirlo domani, poi ci lavoriamo con cura”. Io avevo già spento e messo via tutto; riapro la custodia della chitarra e tiro fuori il primo Zoom [9002], quello che si poteva infilare nella cintura da quanto era piccolo. Collego la chitarra, il nastro parte, Feiez apre il canale e, con un suono che sistemo al volo, faccio un solo alla prima sul finale del brano. Spegniamo tutto e andiamo a casa. Il giorno dopo arrivo in studio e Feiez mi dice: “Questo assolo non lo rifai più, perché è già bellissimo”. Riascolto e approvo: quello che avevamo fatto era funzionale al pezzo, poco importa con cosa lo avevamo fatto.
Quando registri usi degli accorgimenti particolari? Non so, microfoni e posizionamento, equalizzazione, compressori...Vorrei sempre riprodurre il suono che esce dalla mia cassa nel modo più fedele possibile: lascio ai fonici svolgere questo compito al meglio. In studio tendo a fare dei suoni che non abbiano bisogno di troppi ritocchi in fase di mix. Nei live porto pochissima effettistica per non snaturare troppo il suono e per avere in modo rapido il controllo sugli effetti nel caso mi vengano fatte richieste tipo modificare al volo parametri di delay o riverbero.
Sei anche un didatta: che argomenti tratti durante le lezioni?Dipende dal livello di chi mi trovo davanti. Avolte parto da zero, altre volte cerco di migliorare alcuni aspetti didattici mettendo a disposizione ciò che so, oltre alla mia esperienza di musicista.
Hai mai pensato di registrare un video didattico o un disco solista?Moltissime volte: mi attira molto un video didattico più che un disco solista che forse non interesserebbe a nessuno. Punto invece molto sul disco che sto realizzando con i miei Four Tiles! [Guido Block, voce e basso, Stefano Sebo Xotta, chitarra, Roberto Gualdi, batteria; ndr].
Hai all’attivo parecchie collaborazioni sia come turnista che in progetti che ti vedono direttamente coinvolto: è difficile gestire tutte queste situazioni? Ci sono novità in arrivo?In febbraio ho suonato al Rolling Stone di Milano con la PFM, in occasione di “Buon Compleanno Faber”: poter suonare con una delle migliori band di prog italiane è stato un vero onore e una grande emozione. Gli obbligati nella loro versione de Il pescatore di Fabrizio De André mi hanno fatto sudare sette camicie. Con EelST festeggeremo il ventennale di Elio Samaga Hukapan Kariyana Turu: ripubblicheremo l’intero disco, come non lo posso dire…
Un consiglio ai lettori per concludere?Il mio è un consiglio per chi suona e vuol fare il musicista per professione: fatevi prendere dalla passione e dal divertimento prima che dalla smania di un eventuale successo. Ciao!
Simone Salvatore