Quando a fine anni '70 uscì nella versione finale, con le modifiche suggerite per la precedente SG175 dall’allora endorser Carlos Santana, la Yamaha SG2000 (in seguito SBG2000 per via delle lamentele della Gibson, titolare della sigla SG per l’omonima serie) offriva diverse ricercatezze costruttive che la ponevano al top della produzione della Casa giapponese e in concreta concorrenza con le “decadenti” Gibson dell’epoca.
La costruzione era neck-thru-body, con il manico molto inclinato sulla cassa (6,5° contro i tipici 4°-5° di una Les Paul) e laminato in tre pezzi di acero/mogano, che attraversavano l’intera cassa; questa era ben spessa, realizzata in mogano con un top arcuato in tre tavole d’acero, che costituiva una sorta di T con la parte di manico che si allungava nel corpo; da notare che la costruzione neck-thru era visibile solo sul fondo dello strumento, essendone l’esistenza nascosta frontalmente dal top. Sotto l’attaccacorde in lega di zinco era immersa nel legno una piastra in ottone (Sustain Block) per migliorare il sustain, caratteristica introdotta dalla Alembic diversi anni prima; in ottone anche le sellette del ponte. I due profondi cut-away, la smussatura stile Strato sul retro della cassa (tummy cut), la scala da 24” 3/4 e una tastiera a 22 tasti jumbo ben rifinita rendevano lo strumento molto comodo da suonare. I pickup parzialmente scoperti in alnico erano potenti e brillanti. Per inciso, la SG175 personale di Santana, su richiesta dello stesso, “divenne” una neck-thru con manico in un sol pezzo, 24 tasti anziché 22, cassa in mogano e top in teak con il noto grande intarsio del Buddha; i pickup furono sostituiti da Carlos con dei Gibson P.A.F. (la si può ascoltare sul doppio album Moonflower [1977, Sony] e vedere live su http://goo.gl/ZFefA, video tra l’altro siglato da un omonimo... della nostra rivista!).
L’"ira" della Yamaha
La sigla SG (o SBG, secondo i mercati) è sempre presente nel catalogo Yamaha e oggi viene ancora proposto un modello SG2000 neck-thrubody affiancato da interessanti variazioni sul tema; ci occupammo della SG1820A con pickup attivi EMG su Axe Metal dell’estate 2010 e in questo numero testiamo altri due modelli della serie: SG1802 con pickup in stile P 90 ed SG1820LTD, un’edizione limitata 2011 con una diversa lavorazione del corpo, tutte made in Japan. Le chitarre Yamaha vengono oggi trattate con il sistema IRA (Initial Response Acceleration), che consiste nell’applicazione di determinate vibrazioni allo scopo di “alleggerire” le tensioni interne dello strumento nuovo e della finitura, dando come risultato finale la sensazione di una chitarra che ha già suonato e possiede fin dalle prime note un ottimo sustain.
SG1802
Il primo strumento in prova sembra rivelare subito il desiderio della Casa giapponese di avvicinare un pubblico alla ricerca di strumenti in stile Les Paul, oggi tanto in voga, proprio come accadde agli esordi della serie per la penetrazione nel mercato americano. Siamo infatti davanti a una solidbody con la sagoma a doppio cutaway tipica delle SG Yamaha, ma con il manico in mogano incollato alla cassa e dalle proporzioni abbondanti ma senza esagerazioni; abbondante non vuol dire scomodo, e infatti il manico della nostra SG1802 consente un’ottima suonabilità per tutti gli stili, aiutato da un’impeccabile tastiera in ottimo palissandro a 22 tasti medi molto ben rifiniti. Misuriamo non meno di 44 mm. di larghezza al capotasto e 52 mm. al XII tasto. La scala è di 24” 3/4 e l’action è ben regolata di serie, mentre l’intonazione merita piccoli ritocchi sullo strumento in prova: sia chiaro, nulla di anormale...
La cassa è dichiarata in mogano con top in acero arcuato. La fascia nel punto più stretto misura circa 50 mm. cui va aggiunto lo spessore del top, ovviamente variabile secondo i punti visto che è arcuato. Manca la smussatura tummy cut, ancora presente invece sulla SG2000. La finitura poliuretanica dell’intero strumento è spessa ma perfettamente applicata e lucidata. La SG1802 in prova presenta il top di colore oro metallizzato (GT sta per Gold Top) non molto luminoso in verità, ma è disponibile anche una finitura nera (BL). Scarsi i vezzi estetici per uno strumento che sembra destinato al rock e al blues: binding nero/ crema sul top - che forse preferiremmo solo crema -, binding mono-filo crema per la tastiera e intarsio a motivo floreale sulla paletta nera.
Bella l’accoppiata cromatica del top con i coperchi crema dei due pickup e il battipenna doppio strato nero/crema (e anche qui avremmo preferito il mono-strato, ma sono gusti personali...). L’hardware è cromato e di qualità: meccaniche locking Grover e ponte Tonepros AVR-II (Advanced Vintage Replacement II), simile all’ABR-1 vintage ma, in più, locking, con sellette più stabili e maggior corsa per l’intonazione; Tonepros anche l’attaccacorde locking T1Z. Una menzione positiva anche per le manopole, di ottima presa e sistemate perpendicolarmente al piano orizzontale della chitarra grazie ad appositi scavi nel top.
SP90: LA 1, LA 2 O LA 3?
Fin qui la descrizione di uno strumento che appare di costruzione, finitura ed equipaggiamento praticamente senza ombre, con un peso ragionevolissimo di kg 4,180. La Yamaha conferma la capacità delle sue maestranze nel realizzare strumenti professionali di alto livello e in grado distinguersi nella massa di prodotti coreani e cinesi, seppur a prezzo, giustamente, più elevato. Ma, se questo strumento colpisce l’occhio e l’immaginazione di un certo tipo di chitarristi ben prima di averlo imbracciato, è per via della sua coppia di pickup stile P 90, che la Casa dichiara essere genericamente dei Seymour Duncan SP90, non fosse che la Duncan ne produce tre modelli: SP90-1, SP90-2 ed SP90-3.
Quindi, allentiamo le corde (che noia però queste meccaniche locking: appena le allentiamo smettono di bloccare le corde e ce ne ritroviamo i capi sciolti tra le mani...) e smontiamo i pickup per scoprire dall’etichetta che si tratta di SP90-3, i più potenti della serie. Dotati di due grosse calamite ceramiche e decisamente versatili, li ricordiamo (su una vecchia Hamer Special) timbricamente lontani dai classici P 90. Le loro sedi nel corpo (ricordiamo che trattasi di single coil) sono ricoperte con vernice nera conduttiva debitamente portata a massa; le due viti che fissano il pickup sono direttamente avvitate nel legno e due blocchetti in gommapiuma ben incollati al fondo fanno da distanziatori elastici: ben fatto.
La selezione dei pickup avviene tramite un classico switch a 3 posizioni, mentre i controlli constano di due volumi e due toni indipendenti dalla corsa ben frizionata e graduale. Un’occhiata al vano potenziometri rivela una completa schermatura e buone unità Noble da 500 kOhm per i volumi e da 250 kOhm per i toni, con condensatori da 22 microFarad; Seymour Duncan suggerisce i 500 kOhm anche per il tono e condensatori da 47 microFarad, ma è probabile che la Yamaha abbia voluto ricercare un suono un po’ più caldo e medioso, recuperando poi sui condensatori. Vedremo, è tempo di suonare qualcosa...
Cattiva ma versatile
Dell’immediata confidenza che dà questo strumento all’imbraccio abbiamo accennato ed è uno dei motivi che ne decretò il successo. Anche le prime note in effetti danno confidenza, segno che un po’ la costruzione e un po’ il sistema IRA fanno il loro dovere. La chitarra risuona gradevolmente con un certo equilibrio generale già da spenta, mentre il tanto mogano in gioco conferisce calore e corpo alle note.
Andando ad amplificare la nostra SG1802 partiamo con i suoni clean, in cui si apprezza la sua versatilità. Il suono non è dei più personali né dei più bluesy, ma riproduce accuratamente e con giusto spessore i passaggi articolati; certamente permette di affrontare un po’ tutti i generi, hot country con il pickup al ponte e fusion con quello al manico inclusi. Rispetto alla risonanza naturale dello strumento, il sound elettrico appare un po’ più sottile e compresso, ma imputeremmo alla natura ceramica dei pickup queste caratteristiche.
D’altro canto, passando a suoni crunch e distorti, la loro spinta si fa apprezzare, con una gran facilità a portare in saturazione l’ampli e fornire suoni aggressivi che vanno oltre l’usuale ambito blues e rock-blues del P 90, fino all’hard e anche al metal con l’ampli giusto. Nel far questo, la SG1802 mantiene un’ottima definizione, anche usando il pickup al manico, e un carattere comunque corposo, anche se meno pieno di quello di strumenti con pickup humbucker; la gamma medio-alta è aggressiva e molto presente, un pizzico “dentale” sui cantini forse, ma il sustain è notevole su tutta la tastiera, senza punti morti di sorta. E quando diciamo tutta la tastiera, ricordiamo che i profondi cutaway mettono agevolmente a disposizione tutti i 22 tasti su entrambi i lati! Unico lieve ostacolo, lo scalino tra tacco del manico e cassa, che qui, contrariamente a quanto accade sulla SG2000, esiste. La posizione centrale dello switch mette a disposizione un classico suono leggermente svuotato, adatto per accompagnamenti, riff funky o fraseggi asciutti.
Pur apprezzando pienamente quanto questa chitarra è in grado di fare, a titolo strettamente personale vorremmo sentire il risultato al manico di un pickup meno spinto dell’SP90- 3, ad esempio un SP90-1, che potrebbe dare alla SG1802 una voce più consona alle possibilità dello strumento in ambito jazz o blues.
Tutta sostanza
In conclusione, siamo di fronte a un “made in Japan” della migliore scuola. La SG1802 ci sembra una chitarra professionale di alto rango molto ben pensata e realizzata; la qualità dei suoi componenti hardware ed elettrici non è in discussione e viene fornita con una bella custodia rigida. Timbricamente ha una personalità non sempre esaltante, ma offre una paletta sonora in grado di soddisfare tante esigenze stilistiche nell’ambito rock più ampio, lasciando inoltre la possibilità di una facile customizzazione dei pickup per aggiustare eventualmente il tiro con una spesa moderata.
Il prezzo d’acquisto è considerevole e appare anche un po’ eccessivo rispetto a certa concorrenza, anche di qualità, per lo stesso tipo di strumento; a nostro avviso c’è quindi il rischio che questa e altre SG non vengano prese nella dovuta considerazione dal pubblico; ma l’eventuale dubbio, mettendo da parte una volta tanto il facile appeal delle mode, può essere fugato da una prova personale, che evidenzierà l’assenza di “fronzoli” e la sostanza di uno strumento che nasce da una grande tradizione e, ben trattato, non riserverà sorprese nel futuro.
Fabrizio Dadò
SG1820LTD
Modello in edizione limitata per il 2011, questa SG si presenta con caratteristiche di tutto rispetto che fanno subito pensare a una liuteria di alto livello e nessun compromesso
Il top è arcuato, con curve molto profonde, ed è in due pezzi di ottimo acero fiammato giunti a libro. Il capotasto è un Graph Tech, mentre i due pickup sono dei Seymour Duncan '59 - che non hanno di certo bisogno di presentazioni - con coperchi cromati. Anche su questo modello è stata applicata la tecnologia IRA per ottenere subito il massimo della vibrazione che lo strumento è in grado di offrire da nuovo. Il lavoro svolto sulla tastiera è tra i migliori che ci sia capitato di vedere: i tasti sono perfettamente posati e gli estremi degli stessi sono stati molto ben arrotondati, dando un assoluto senso di scorrevolezza alla mano sinistra che “volteggia” indisturbata.
La qualità dei legni in generale è molto buona, e la realizzazione ai massimi livelli. Il ponte e l'attaccacorde sono leggeri Tonepros. Le meccaniche sono Grover autobloccanti. Lo strumento sul retro non è smussato come altri modelli della serie: la Casa ha optato per questa scelta attribuendo una maggior influenza del mogano nella zona delle basse frequenze. Il vano potenziometri è completamente schermato da vernice conduttiva, così come il coperchio con foglio metallico che lo copre; il lavoro che si può qui ammirare è di ottimo livello: dalla scelta dei componenti (di alta qualità) all'assemblaggio non c'è assolutamente nulla da criticare. Per i potenziometri del volume è stato scelto il valore di 500k, mentre per quelli del tono 250k. Il top è rifinito di un bellissimo Charcoal Grey, un grigio semi- trasparente che dona alle venature un aspetto diverso dal solito: non molto tridimensionale, ma dall'effetto quasi satinato. Meglio vederla dal vivo, a parole è difficile... Top, tastiera e paletta sono contornati da binding: doppio strato per il body (bianco scuro/nero) e solo bianco scuro per il resto. La verniciatura è data pregevolmente.
Altissimo livello
È chiaro che lo strumento rappresenta un livello di progettazione e realizzazione di altissimo livello, ed è chiaro anche che tutta questa ricerca sia in qualche modo volta a migliorare i risultati di soluzioni che rappresentano un classico. Per cui, alla luce delle specifiche, ci sembra di poter dire che questa SG è una versione migliorata di altre chitarre che rappresentano un classico: non innovazione su tutti i fronti quindi, ma innovazione sul fronte dell'esaltazione e del miglioramento di caratteristiche affermatesi da decenni. La scelta dei pickup dice molto in questo senso: laddove si sarebbe potuto optare per sonorità moderne e taglienti (e magari anche compresse...), la scelta dei due '59 parla chiaro in termini di pulizia e brillantezza del suono.
Abbracciando la 1820LTD, notiamo subito una grande comodità nel suonarla da seduti, un manico piuttosto robusto di sezione, e ancora l'ottimo lavoro svolto sulla tastiera. Sembra proprio che l'obiettivo della Yamaha nel cercare di dare il più possibile un senso di familiarità nell'imbracciare questo strumento sia stato raggiunto. In particolare, lo strumento reagisce con immensa facilità a bending e vibrati, oltre tutto con una certa sensazione di precisione. Il sustain ha dell'incredibile, segno che le diverse accortezze costruttive hanno centrato nel segno. Anche a fine tastiera... Il timbro è molto sano e ricco di frequenze: risponde molto bene allo strumming come all'arpeggio con il plettro e alle note singole. La chitarra vibra letteralmente sotto le nostre mani e nella sua interezza: si ha finalmente l'impressione che tutto lo strumento contribuisca alla formazione del suono finale.
Mai accontentarsi
Andando ad amplificare, la scelta di questi pickup Duncan ci è sembrata assolutamente azzeccata: seppur con un giusto e oculato sapore vintage, si riesce ad affrontare praticamente qualunque situazione, senza doversi accontentare. E così, mentre i puliti sono belli, dinamici e ispirati (e ispiranti...), i distorti riescono a passare dall'educato all'imperioso senza perdere un colpo.
Nel dettaglio, lo strumento, sui puliti e con il pickup al manico, regala un suono molto preciso e allo stesso tempo caldo, dotato della giusta dinamica e privo di certe asprezze nell'attacco che altri tipi di pickup possono dare. Allo stesso tempo, con il pickup al ponte si può arpeggiare, sempre sui puliti, senza che le medie e le alte rechino fastidi all'orecchio, anzi, il risultato è un vibrare molto brillante delle corde che non mancherà certo di trovare un utilizzo in più campi.
Con il crunch lo strumento si comporta ottimamente, mentre andando al canale lead del nostro ampli, non possiamo far a meno di lodare uno dei suoni hard-rock ritmici più belli mai ascoltati. Si ha sempre l'impressione che la liuteria partecipi con decisione al risultato finale. La bassa potenza dei pickup conferisce un'ottima pulizia del suono, unita a una personalità timbrica che mette insieme il vintage con il moderno: infatti, mentre il respiro del suono ci riporta alla "vecchia scuola", il suono leggermente scavato e un attacco piuttosto presente (ma non aspro) ci portano al giorno d'oggi. Per togliere ogni dubbio: lo strumento, oltre a essere eccellente in zona hard-rock, si mostra un ottimo fornitore di suono con l'EQ scavata a V, per cui non siamo riusciti a mettere in difficoltà questa SG in nessun campo...
A corredo, una bellissima custodia rigida per proteggere il nostro investimento. Se la trovate in negozio, datele una prova. Unico difetto: un prezzo di listino un po' alto (non siamo riusciti a trovare dati per risalire allo street price). Per il resto, questa SG1820LTD è una delle più belle rivisitazioni Les Paul che ci siano capitate, e chi ne apprezza il look e le soluzioni innovative, farebbe bene a non lasciarsela scappare.
Alessandro Riccardi