L’evoluzione delle repliche storiche della Gibson è lunga e complessa, più di quanto un osservatore esterno possa immaginare. A volte i motivi di continui affinamenti di modelli classici e ben noti possono apparire misteriosi, ma in realtà dipendono da fattori commerciali e tecnici che pongono problemi non sempre di facile soluzione. Prima di tutto, decidere di riproporre modelli del passato non è una decisione facile, per un’azienda, potendo apparire come una implicita sconfessione della produzione attuale, essendo l’innovazione ritenuta in sé cosa positiva, per cui occorre una forte pressione da parte del mercato per vincere dubbi e resistenze psicologiche. In secondo luogo le tecniche costruttive cambiano nel tempo e riprodurre quelle originali richiede costosi investimenti. In ogni caso all’inizio degli anni Ottanta è apparso chiaro, a Fender e Gibson, che la richiesta dei loro modelli classici non poteva più essere ignorata e sono apparse le prime reissue.
Nel 1986 appare la SG Standard ’62 Reissue, che rispetto al modello di serie offre un corpo sagomato (quasi) come l’originale, pickup Pat. Appl. For con calamite in alnico 2 e la combinazione ponte Tune-O-Matic e attaccacorde fisso. Molti musicisti usavano togliere la leva originale e la proposta Gibson offre questa versione modificata. All’epoca la serie Reissue è offerta come edizione speciale prodotta in quantità relativamente limitata da una sezione che pochi anni dopo evolverà nella Custom, Art & Historic Division.
Dal 1991 la SG Reissue riceve due nuovi pickup ’57 Classic, repliche più accurate dei vecchi PAF, e un nome leggermente diverso, SG Standard ’61 Reissue. A questo punto nella Historic Collection è offerta una versione Custom Shop che si aggiunge alla “normale” Reissue, disponibile con l’opzione della leva Maestro Vibrola (replica della Deluxe Vibrola introdotta su SG e Firebird nel ’63) e caratteristiche costruttive ancora più simili all’originale d’epoca, come sagomature più precise delle spalle mancanti, vernice alla nitrocellulosa priva di additivi chimici e legni selezionati.
Nel 2001 anche la SG ’61 Reissue di serie è disponibile con la leva Maestro e la differenza fra questa e la Historic sembra essere sostanzialmente una versione “alta qualità” dello stesso modello. La pressione di collezionisti ed esperti e un'ormai copiosa letteratura sugli strumenti vintage costringono a curare con sempre maggiore dettaglio le repliche, e nel 2007 la Gibson rinnova completamente la gamma Historic che diventa Historic Vintage Original Spec Series (V.O.S.).
Questione di manico!
La Historic V.O.S. SG Standard si presenta con vernice alla nitrocellulosa basata sulla formula originale e applicata con i metodi dell’epoca, l’inserto del manico long tenon, con una porzione estesa fin sotto alla cavità per il pickup al manico e pickup Burstbucker invece dei ’57 Classic in dotazione precedentemente.
Disponibile con ferma corde fisso in alluminio leggero o leva Maestro Vibrola, come l'esemplare a nostra disposizione. Le parti elettriche sono costituite da potenziometri CTS da 500 kOhm con curva logaritmica calibrata come sugli originali e condensatori replica degli Sprague d’epoca, noti come bumble bee o black beauty. Il vano che ospita i controlli è correttamente scavato seguendo il contorno delle parti elettriche, riducendo al minimo l'asportazione di legno.
La paletta è inclinata rispetto al manico di 17°, ha la parte frontale coperta da una laminatura di agrifoglio dipinto di nero su cui spicca l’intarsio in madreperla e sul coperchio del truss-rod c’è la scritta Les Paul. I pickup di serie sono un Burstbucker #1 al manico e un Burstbucker #2 al ponte. Come per gli originali le misure possono variare lievemente fra un esemplare e l’altro; in questo caso rileviamo 7,4 kOhm al manico e 7,9 kOhm al ponte, assolutamente compatibili con quelli che troveremmo su uno strumento originale. Rispetto a una ’62 Reissue dell’86 notiamo una paletta più piccola, le punte delle spalle mancanti più pronunciate e lievemente più lunghe, i fianchi un po’ meno sottili. Il peso, come ci si aspetta da questo tipo di chitarra, è abbastanza ragionevole, di kg 3,615.
Il manico è incollato su una specie di lingua che protende dal corpo con la sagoma che si curva seguendo il tacco; questo tipo di costruzione, molto elegante, è stato adottato nei primi mesi di produzione, presto abbandonato per quello, certamente meno complesso e costoso, in uso ancora oggi sulle serie normali. Il manico è leggermente inclinato rispetto al corpo e risulta lievemente più elevato dal piano della chitarra in confronto alle SG più recenti.
Le meccaniche sono stile Kluson con paletta a tulipano con singolo anello alla base. Il manico, in un unico pezzo di mogano, è relativamente spesso, per una SG, più vicino a quello che troveremmo su una Les Paul del ’60 o una ES-335 dello stesso periodo, cosa che non ci dispiace, sia perché rimane comunque molto comodo e poi perché su una chitarra così sottile avere per contrasto una certa solidità sotto la mano ha un effetto rassicurante. La tastiera è molto curata, con larghezza al capotasto di mm. 43, tasti impeccabilmente rifiniti e un palissandro di qualità superiore alla media.
La tinta trasparente rivela un corpo in pezzo unico, davvero notevole. La finitura, nel tradizionale Cherry Red, riproduce l’aspetto sbiadito di un esemplare invecchiato e al tatto risulta molto più gradevole di quella, un po’ gommosa, dell’esemplare dell’86, anche se la tendenza alla suddetta gommosità compare sul manico con l'uso, come se la finitura si stesse consumando sotto la mano; pur sgradevole, è solo un'impressione.
I coperchi dei pickup sono leggermente opachi in piena coerenza con l’aspetto vintage dello strumento. In tutto questo contrasta un poco la lucida nichelatura della leva.
Burstbucker contro veri P.A.F.
Già prima di collegare la chitarra all’amplificatore notiamo una risonanza di tutto rispetto, ricca e chiara, con le vibrazioni che si propagano dal manico e il corpo fino al nostro fianco. Si nota il lieve zing sulle acutissime dovuto al contributo sonoro della leva, che, oltre a ingentilire ulteriormente e slanciare la chitarra, ha quindi anche un effetto sul timbro.
Un risultato garantito evidentemente dalla verniciatura, più fedele alle specifiche d’epoca, è quello di avere una maggiore trasparenza rispetto alla riedizione ’86, che esibisce una simile abbondanza sonora, ma con una minore presenza in gamma media, una minore esuberanza generale, apparendo al confronto lievemente meno frizzante (la differenza c’è anche mettendo in conto l’apporto della leva). Anche la maggiore massa del manico ha un ruolo nella eccellente prova acustica della Historic V.O.S., con una gamma medio-bassa molto generosa e lungo tutta la tastiera il timbro rimane omogeneo e ricco di armonici.
Accendendo il nostro combo Fender Princeton le promesse sono pienamente mantenute, con timbri caldi ma sempre definiti dal pickup al manico e una bella grinta da quello al ponte. I due Burstbucker hanno decisamente un timbro che rispecchia abbastanza fedelmente le qualità dei vecchi PAF, con una buona mistura di calore e aggressività. Suonando con i polpastrelli e pizzicando le corde dolcemente la somiglianza con due PAF del ’61 (versione con calamita piccola), montati sulla Reissue dell’86, è notevole, ma suonando forte, specialmente con un plettro, i Burstbucker sono un po’ più compressi, con una gamma media più prorompente, anche se dobbiamo dire che si tratta di sfumature.
Per distinguere il contributo sonoro dei pickup suoniamo un poco con il volume abbassato, per poi alzarlo gradualmente e ascoltare attentamente come il suono acustico è interpretato e trasmesso all’amplificatore. Rispetto ai PAF di riferimento i Burstbucker hanno una impronta sonora molto simile, le differenze acustiche fra le due SG sono tradotte in suono elettrico con un carattere complessivo molto simile, ma dinamicamente notiamo alcune differenze. I PAF originali hanno un attacco pronunciato cui segue un rapido ma non immediato sviluppo della nota con decadimento lento, nei Burstbucker la nota segue l’attacco con maggiore rapidità, come se fosse applicata una lieve compressione al segnale e con una sensazione di minore dolcezza specialmente avvertibile al manico. Alzando il volume i Burstbucker risultano un poco più aggressivi e con una maggiore spinta non tanto in termini di livello sonoro, praticamente uguale, ma proprio come reazione alla sollecitazione della corda, sia con il plettro, sia con i polpastrelli. Con i PAF si avverte una maggiore sensibilità negli arpeggi e la differenza fra i pianissimo e i forte è più marcata, con i Burstbucker l’escursione dinamica è leggermente ridotta, le note sono un poco più “urlate”. Gli originali possono essere molto diversi fra loro e alcuni possono risultare anche più aggressivi di queste repliche Gibson, che hanno il giusto carattere; per chi desideri versioni che catturino il lato più dolce di quei modelli ci sono riproduzioni di alta qualità che lo esprimono meglio e gli stessi ‘57 Classic Gibson vanno in quella direzione; i Burstbucker ne colgono l’aspetto più ruvido, grazie anche agli avvolgimenti sbilanciati leggermente fra le due bobine. Potremmo dire che i due modelli Gibson (Burstbucker e ’57 Classic) mettono a fuoco con un pizzico di estremismo due aspetti presenti in varia misura nei modelli d’epoca (ripetiamo che il confronto con un solo set ha un valore molto relativo, un’altra coppia di PAF potrebbe dare risultati ancora diversi). Nella posizione al manico il PAF originale ha calore ma anche trasparenza e la maggiore dinamica ce lo fa preferire al Burstbucker che risulta proporzionalmente un poco meno pulito e acustico, anche se a molti la sua maggiore compattezza sonora può risultare più appetibile, specialmente se si suona rock; ma è al ponte che la replica Gibson sembra prendersi la rivincita mettendo a buon uso la maggiore grinta, specialmente con la saturazione, fornita da un Radial Plexitube. In distorsione quel poco di compressione in più aiuta molto e sembra anche dare maggiore sostegno, anche se in realtà è la chitarra, anche grazie al manico più spesso e con inserimento long tenon, ad averne il merito.
L'urlatrice
Nell’insieme la Historic V.O.S. si conferma un'eccellente urlatrice, se spinta a cimentarsi in fraseggi rock, ma in questo strumento in particolare si ha anche una gamma medio-alta leggermente più prominente rispetto ad altre SG che, forse per il manico che aggiunge massa in più, le regala anche uno spessore vocale che la avvicina a una Les Paul, quasi a ricordare che originariamente questo disegno era inteso come un semplice aggiornamento del celebre modello a singola spalla mancante del quale reca ancora il nome sul coperchio del truss-rod.
Indubbiamente con questo strumento si avverte, pur con le differenze strutturali e timbriche del caso, una sorta di continuità con i modelli dai quali ha inizialmente ereditato il nome. Una menzione particolare la merita il circuito elettrico; la combinazione di potenziometri CTS e condensatori stile bumble bee, infatti, rende assolutamente semplici le regolazioni, con variazioni graduali e ben dosabili di volume e tono, rendendo possibili una infinità di sfumature. Non c’è dubbio che i Burstbucker rendano con buona fedeltà il carattere dei vecchi PAF, ma sono anche aiutati da un circuito all’altezza della situazione che consente di passare da toni duri e aggressivi a sonorità più calde e morbide con una grande varietà di tinte intermedie.
La SG è da sempre considerata una delle chitarre più versatili, in campo solid body, mai proposte dalla Gibson; chi avesse ancora qualche dubbio non avrà che da provare una Historic V.O.S. per averne conferma. Rispetto ai PAF in nostro possesso e basandoci sulla nostra esperienza con altri set simili possiamo dire che i Burstbucker non ne catturano al 100% le sfumature caratteristiche, alcuni modelli di ditte specializzate si avvicinano di più; ma il carattere vintage c’è tutto e nel caso specifico il pizzico di compressione in più è sicuramente in carattere con l’attitudine rock attribuita di solito a questa chitarra.
VOS che?
Passiamo un attimo, adesso, alle vantate Vintage Original Specs che, presentate così, dovrebbero indicare versioni basate rigorosamente sulle specifiche dei modelli presi a riferimento per un determinato periodo. Il tipo di giunzione fra manico e corpo scelto per questo modello è stato usato originariamente sui primissimi esemplari costruiti negli ultimi mesi del 1960, sostituito nel corso del ’61 da uno più semplice che forma una specie di gradino dove finisce il corpo. Profilo del manico, forma e dimensioni della paletta e pickup con specifiche Patent Applied For rimandano di nuovo al primo periodo di produzione (i pickup dal ’61 hanno calamite leggermente più piccole e dal ’63 cambia il tipo di filo usato per gli avvolgimenti). Quindi questa V.O.S. sembra essere la copia di una Les Paul Standard della fine del 1960 o dei primi mesi del ‘61. A questo punto, però, le citate Original Specifications avrebbero richiesto meccaniche con impugnature a tulipano corredate da due anelli alla base e vibrato Sideways Vibrola. Produrre la leva appositamente, non essendo stata usata su altri modelli, avrebbe senza dubbio aumentato i costi complessivi e, essendo fra l’altro non troppo popolare fra i musicisti, si può comprendere la scelta di utilizzare la Maestro, usata anche su alcune Firebird; per le meccaniche, però, uno sforzo si poteva fare. Ma forse la Gibson si riserva la possibilità di proporre in futuro una nuova serie, magari denominata “Vintage True Original Spec”.
A parte le pignolerie di carattere storico, questa Standard è una signora chitarra sotto tutti gli aspetti: suona benissimo, è bella, comoda, maneggevole e molto versatile e assolutamente degna della tradizione che rappresenta, oltre ad essere una formidabile arma da rock estremamente moderna come concezione. Rispetto ad altre versioni l’innesto del manico e la maggiore massa danno compattezza al suono e maggiore capacità di sostegno, tutte qualità che i Burstbucker traducono con fedeltà e l’aggiunta di un po’ di grinta. Inoltre la risonanza di cui si mostra capace già adesso lascia prevedere, in futuro, una eccellente maturazione grazie alla quale guadagnerà una voce ancora più calda e ricca di sfumature.
Vibrato Vibrola
Ancora qualche osservazione: la Maestro Vibrola e le meccaniche in stile vintage congiurano nel creare qualche problema di intonazione e occorre montare molto bene le corde per ridurre il problema; inoltre la custodia fornita è bassa e quando si chiude il coperchio questo preme sulla leva, se è montata, abbassandola e rendendo necessario controllare l’accordatura prima di usare di nuovo lo strumento. D’altra parte se si vuole un modello autenticamente vintage è necessario essere disposti ad accettare anche questi piccoli inconvenienti. Nella sua semplicità, la versione del vibrato Maestro adottata sulla SG in prova funziona comunque abbastanza bene, consentendone un uso moderato senza incorrere in eccessivi problemi d'intonazione. La leva ha un'impugnatura tanto elegante quanto ergonomica e si trova all'altezza giusta, soprattutto per un approccio all'antica che prevede di tenerla tra mignolo e dito anulare della mano destra.
Prezzo custom
Il prezzo di listino impressiona un poco, ma il costo reale nei negozi ci risulta essere molto più moderato e, vista la qualità elevata, veramente da Custom Shop, ci sembra adeguato al livello dello strumento, che come prestazioni e timbro non ha nulla da invidiare agli esemplari d’epoca, sempre più rari e dalle quotazioni sempre più stratosferiche.
Mario Milan