Slash
Slash
Roadrunner Records
Axe Settembre 2010
Tabs - Intervista
Rilasciato lo scorso aprile, Slash è il primo omonimo album solista del celebre chitarrista. I pezzi sono quattordici, per un totale di poco più di un'ora di rock'n'roll. La formazione di base vede Josh Freese (The Vandals, Devo, Nine Inch Nails, etc.) alla batteria, Chris Chaney (Alanis Morrisette, Jane’s Addiction, The Panic Channel, Taylor Hawkins and the Coattail Riders, etc.) al basso, Leonard Castro alle percussioni e, ovviamente, Slash alla chitarra. I cantanti cambiano di brano in brano. Partiamo dalle considerazioni di carattere generale: Slash è un buon album di sano rock. Gli arrangiamenti sono semplici e diretti, ma efficaci, e la produzione è pressoché perfetta. Sul fronte della coesione, invece, non si può non notare un’estrema varietà interna all'album. Si passa da canzoni che strizzano l'occhio a MTV e alle radio commerciali, a pezzi di rock duro, se non metal. Di brano in brano variano anche qualità e fantasia compositive: a veri pezzi “da novanta” si intercalano canzoni discrete, risollevate da un potenziale anonimato dalle abilità esecutive dei musicisti e dalla qualità della produzione. Nello specifico, abbiamo apprezzato particolarmente la traccia d'apertura, Ghost, con Ian Astbury (The Cult) alla voce, e con la piacevole presenza dell'ex-Guns N’ Roses Izzy Stradlin alla seconda chitarra. Il pezzo è veramente ben costruito e coeso, sorretto da un riff accattivante e sapientemente giocato sui contrasti di dinamica tra le diverse sezioni. Crucify The Dead, seconda traccia, è un convincente pezzo in pieno stile Ozzy Osbourne, dall'atmosfera inquieta e a tratti sospesa e stralunata. Alla voce... Ozzy! Al terzo posto in scaletta troviamo Beautiful Dangerous, in cui la cantante Fergie (The Black Eyed Peas) dimostra la sua ecletticità, esibendosi con una grinta da rocker di classe. Bel pezzo hard rock anche By The Sword, con Andrew Stockdale (Wolfmother) alla voce. Sul fronte più pop rock, va citata I Hold On, con Kid Rock al microfono, caratterizzata da una riuscita miscela tra echi vagamente vanhaleniani, arpeggi clean, azzeccate parti crunch, una linea vocale che conquista e un solo di chitarra da manuale. Sempre tra i pezzi migliori dell'album si colloca Starlight, cantata da Myles Kennedy (Alter Bridge), che integra una strofa dall'intenzione velatamente country a un ritornello degno dei migliori Darkness. Si distingue Gotten, grazie al bell'arpeggio e alla delicata linea vocale di Adam Levine (Maroon 5). Va richiamato, nonostante non convinca appieno, anche Watch This Dave, unico strumentale del disco, con Dave Grohl (Foo Fighters) alla batteria e l'ex Guns - ora Velvet Revolver - Duff McKagan al basso. I brani non citati faticano a sostenere il confronto con quelli più riusciti. Unica eccezione la traccia di chiusura, We’re All Gonna Die, affidata alla voce di Iggy Pop, che dopo la riflessiva Saint Is A Sinner Too ci riporta a quel sapore di libertà irriverente tipico del rock più genuino.
Pierluigi Bontempi