Stavamo iniziando a preoccuparci visto che da due anni non sentivamo notizie da New York sul fronte Dream Theater. I vari progetti paralleli (vedi il disco solista di LaBrie, quello di Petrucci, Myung con i The Jelly Jam, ecc.) iniziavano ad alimentare strane voci sul quintetto più prog del mondo, voci che tra l'altro si ripresentano alla fine di ogni tour da qualche anno a questa parte. Ma, come sempre, tutto viene smentito con il nuovo album, l'ottavo per essere precisi, Octavarium (Atlantic) per l'appunto! Un disco in cui John Petrucci e compagni fanno il punto della situazione; chi si aspetta i Dream di Train Of Thought o Scenes From A Memory uscirà dall'ascolto profondamente deluso; ma non allarmiamoci prima del tempo.
Con ansia ci accingiamo ad ascoltare la prima traccia, The Root Of All Evil, e subito si manifesta un magnifico stato di forma di LaBrie. Il pezzo è molto aggressivo, su una batteria in quattro con poche scomposizioni. Immaginiamo che Portnoy sia stato legato per limitarsi tanto. Primo solo di Rudess, prontamente replicato da Petrucci, il tutto con gusto, evitando tecnicismi inutili: bene! L'intro di The Answer Lies Within rispecchia atmosfere molto care ai D.T., tutto così largo e aperto, appoggiato sopra una ritmica essenziale. These Walls evidenzia un Petrucci profondamente contagiato da accordature detuned e riff nü-metal. Finalmente la prima scomposizione interessante su una frase di chitarra eseguita su tre battute di 6/8 e una di 5/8; certo non è come sentire Under A Glass Moon, ma a quanto pare tocca accontentarci.
I Walk Beside You ricorda molto i Muse, il ritornello è spettacolare, così come i suoni e l'arrangiamento: un pezzo da radio a tutti gli effetti. Con Panic Attack si torna a parlare un linguaggio molto più consono ai D.T.; dopo un intro di basso doppiato dalla chitarra, in 4/4, arriva il delirio: continui spostamenti d'accento e cambi di tempo da 5/8 a 4/8, a 12/8, insomma la matematica non è un'opinione, ma qui c'è qualcuno che se ne approfitta un po' troppo; molto interessante l'unisono tra chitarra e tastiera verso la fine del pezzo. Voce effettata per Never Enough; anche questa per la verità ricorda un po' i Muse: riff serrato di chitarra e tastiera, che sfocia in aperture tipiche dei Dream; i suoni di tastiera sono molto ricercati e colpiscono nel segno.
Passando per Sacrificed Sons si arriva a Octavarium, pezzo conclusivo dell'album, della durata di ben 24', diviso in cinque atti, molto ben concepito e studiato nei minimi particolari, come deve essere in casi così impegnativi.
Quello che più colpisce di tutto l'album è che non ci sono i soliti soli devastanti di Petrucci, sostituiti dalle tastiere di Rudess, e, a dir la verità, ci mancano un po'. Un disco nell'insieme molto ben arrangiato e con i suoni giusti. Certo, i D.T. ci hanno abituato bene e se Octavarium l'avesse fatto un altro gruppo, l'avremmo etichettato come un capolavoro; purtroppo da loro ci si aspetta sempre l'impossibile. Il fatto è che vengono criticati sia quando fanno troppo che quando fanno poco: ma quale sarà il... giusto mezzo?
Lorenzo Carancini