Nell’ambiente musicale ci sono poche sicurezze: una di queste si chiama Ty Tabor, chitarrista che ogni volta propone la sua musica in modo colto e raffinato. È con vero piacere che ci accingiamo a commentare questo suo nuovo lavoro solista, che colpisce immediatamente con un sound e un gusto d’altri tempi.
Entriamo quindi nel giardino rock di Ty partendo da Ride che si presenta come un pezzo di punta: il suono spacca alla grande e la voce di Tabor è perfetta; molto curati gli arrangiamenti e anche il solo non è niente male.
Si prosegue con Stalker, in cui Tabor riesce a costruire scenari da film e a comunicare sensazioni veramente particolari. Interessante la strofa “storta” di I Know What I’m Missing, brano, tra l’altro, molto cervellotico e introspettivo.
Le accordature molto basse di Tabor (la sua chitarra baritona signature è la Yamaha RGXTT, accordata una quarta sotto) danno a tutto il disco una grande presenza nei bassi: ciò non fa altro che aumentare la gradevolezza dei riff e delle aperture, in modo particolare in Afraid, dove questo effetto si nota maggiormente.
L’intro di Beautiful Sky è, secondo noi, una delle cose più belle mai scritte; il suono è azzeccatissimo e il brano è eseguito con un gusto tale da trasformarlo in una vera chicca; il solo poi è la ciliegina sulla torta. She’s A Tree è un pezzo spensierato ma non banale che spiana la strada a Take It Back, ancora molto facile da ascoltare e con la strofa divisa in due battute da 4/4 e una da 3/4.
Wading In abbassa un po’ i toni, riportando ad atmosfere più riflessive. Molto interessante la ballad Thankful, sia dal punto dal vista degli arrangiamenti che dei suoni; bella l’idea di doppiare la voce in alcune parti con lo slide. Il disco chiude con Pretty Good, in cui tutto sembra tranquillo per poi esplodere nel ritornello dalle chitarre veramente imponenti; non finisce qui, perché alla fine si nasconde una traccia bonus molto particolare: ma non sveliamo la sorpresa.
Alla fine la voglia di far ripartire il disco da capo è tanta da non poter resistere e così rimandiamo il disco all’infinito fino a... consumarlo. Un lavoro veramente gradevole e professionale, con un Tabor molto ispirato e maturo in tutto, a partire dagli arrangiamenti fino ai suoni e alla composizione. Niente è scontato o banale e si cerca sempre di sorprendere e destare l’attenzione dell’ascoltatore. Naturalmente gioca a favore di Tabor l’esperienza maturata in quasi vent’anni di attività e nella realizzazione di ben diciannove dischi suddivisi in varie situazioni tra cui i King’s X, il suo gruppo storico, i Platypus, divenuti poi The Jelly Jam, e la sua attività da solista.
Dischi come questo non stancano mai ed è una goduria poterli spulciare nei minimi particolari: lunga vita a Ty Tabor.
Lorenzo Carancini