Joe Bonamassa
Live from Nowhere in Particular
Provogue Records 2008Tratto da Axe 137, Novembre 2008
Acquista l'arretrato!
Ottavo disco in otto anni: un bel traguardo, se pensiamo all'età del chitarrista, appena trentunenne, e alla smisurata attività live che lo porta in tour in giro per il mondo per 365 giorni all’anno.
Anche, e soprattutto, per tale motivo, questa nuova fatica discografica di Joe Bonamassa, nuova linfa del blues del nuovo millennio, non poteva che documentare il meglio dei recenti liveshow dell’artista di Utica (NY), riconfermando a pieni voti un personaggio ormai consolidato nella sfera dei nuovi guitar hero.
Seguito da una band più che rodata, con Carmine Rojas al basso, Rick Melick alle tastiere e Bogie Bowles alla batteria, Bonamassa incanta i suoi fan (ai quali, sulle note di copertina, dedica apertamente l’intero doppio CD) e sfodera tutta la sua grinta, offrendo anche una prestazione vocale di tutto rispetto, ma lasciando soprattutto cantare la sua fida Les Paul (la Gibson ne ha recentemente commercializzato un modello Goldtop ispirato proprio dal chitarrista), con la quale alterna momenti di grande liricità blues a momenti più nervosi, con una dinamica e un suono da brivido.
Il primo dei due CD si apre con Bridge To Better Days, cavallo di battaglia che scalda la platea con uno dei suoi riff più riusciti, e con un solo che ricorda molto il Clapton dei Cream; seguono Walk In My Shadows e So Many Roads, rispettivamente uno shuffle e uno slowblues, nei quali il fraseggio di Bonamassa attinge al passato, da maestri come Albert King e Albert Collins, per spostarsi, con India/Mountain Time, dopo un’intro beckiana, su territori quasi Blind Faith (il supergruppo con Eric Clapton alla chitarra e Steve Winwood alla voce...), con un suggestivo solo finale che esplode per carica di feeling.
Ci muoviamo ancora su territori blues con Another Kind Of Love di John Mayall, prima di addentrarci nella ballad Sloe Gin, dall’omonimo precedente disco del 2007, di certo uno dei momenti più belli del disco, anche per il carattere più pop-rock del brano.
Il primo CD si conclude con One Of These Days, con un riff suonato in perfetto Hendrix-style, brano che porta la firma, oltre che di Bonamassa, di Alvin Lee dei Ten Years After.
Ball Peen Hammer è una cover, molto ben riuscita, di un brano di Chris Whitley (chitarrista/cantante texano scomparso nel 2005), supportata da un gran suono di chitarra acustica 12 corde e da un Bonamassa particolarmente ispirato a livello vocale. È ancora la chitarra acustica a essere protagonista in If Heartaches Were Nickels di Warren Haynes, e in Woke Up Dreaming, che mette in mostra le grandi qualità tecniche del chitarrista alle prese con una performance in solo-guitar, in uno scorcio di spettacolo davvero entusiasmante.
Ed eccoci al primo medley: imbracciata nuovamente l’elettrica, Bonamassa esegue Django, ispirata a Vous et moi di Etienne Lefebvre, che introduce il riff di Just Got Paid di Billy Gibbons, con una ritmica molto zeppeliniana e memorabili momenti solistici, anche di stampo rockfusion. C’è anche spazio per una reggaeggiante High Water Everywhere di Charley Patton, eseguita ancora all’acustica, e per una ballad blues, Asking Around For You, con il chitarrista in vena di sventagliate pentatoniche alla Eric Johnson (Bonamassa, specialmente agli esordi, si è molto ispirato al biondo chitarrista texano). Il trittico composto da A New Day Yesterday di Ian Anderson (Jethro Tull) e Starship Trooper/ Wurm, omaggio agli Yes di Steve Howe, chiude, su una lunga coda finale di chitarra, questo doppio CD davvero denso di emozione, feeling e tanto, tanto tocco.
Joe Bonamassa si conferma, con questo album, uno dei pochi esponenti di spicco nel panorama rock-blues mondiale, con un sound moderno che cela, però, una grande riverenza verso i grandi mostri sacri del passato.
P.S. Nei credit, oltre a trovare perfino il nome del conducente del tour bus, possiamo gustarci l’elenco dettagliato di chitarre, ampli e pedali usati durante il tour… Interessante, no?
Osvaldo Lo Iacono