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Bill Frisell torna al trio per questo nuovo album di studio con i suoi storici e fedeli collaboratori Thomas Morgan (basso) e Rudy Royston (bat-teria). In Valentine l'ultra-sessantenne maestro di Baltimora scrive musica e suona la chitarra da par suo, con forti influenze da Jim Hall e personali farciture di blues (Valentine, Levees), folk (ovunque), country (Keep Your Eyes Open, Aunt Mary) e Gospel (Wagon Wheels), un tutt'uno amalgamato da una sonorità strumentale inconfondibile che da anni è anche la sua cifra stilistica, qui appena più orientata al jazz senza tuttavia mai approdare a swing, mainstream, bop o avanguardia. Il trio, proveniente da un lungo tour tra USA ed Europa, è ben rodato, la musica scorre fluida nei brani prevalentemente scritti dal leader. Supporto e interplay da parte di Morgan e Royston non potrebbero essere più delicati e al contempo efficaci. Immancabile lo sfruttamento del delay manovrato manualmente da parte di Frisell, così come le frequenti atmosfere ipnotiche (una per tutte Baba Drame, del cantautore maliano Boubacar Traore). I pochi detrattori di Frisell crolleranno di fronte alla poesia del suo chord melody in A Flower Is A Lovesome Thing di Billy Strayhorn o al- l'esposizione tematica in What The World Needs Now Is Love di Burt Bacharach. Americana, dissonanze e contrappunto per l'inedita Electricity, concepita come commento filmico. La scaletta della selezione a nostra disposizione si chiude con la chitarra acustica di Where Do We Go, pezzo country impegnativo per il metronomo sui 30 BPM; ma il compito reale di chiudere il disco spetta all’inno dei diritti civili Anni '60 We Shall Overcome. Valentine, pur nulla aggiungendo alla discografia di Bill Frisell, è un buon album, che riprende per mano fan e appassionati dopo qualche recente mezzo passo falso.

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