CHITARRA ELETTRICA SOLID BODY A CAMERE TONALI
JACKSON MARK MORTON DOMINION
Premesso che erano mesi che desideravamo mettere le mani sulla sua ascia, rubiamo direttamente a Mark Morton, chitarrista dei Lamb of God, le parole per iniziare questo test: “…Volevo realizzare qualcosa che incorporasse alcune caratteristiche estetiche e funzionali dei miei strumenti preferiti, come la Les Paul, la Telecaster, la Jaguar”. Perfetto, aggiungeremmo anche un po’ di Gibson Firebird, visto che la Mark Morton Dominion – inserita nella serie Artist Signature e fabbricata in Giappone - vanta costruzione neck-thru-body, con il blocco del manico in un pezzo unico – presumibilmente, poiché non chiaramente visibile, laminato in tre parti longitudinali -, che parte dalla paletta e percorre tutta la cassa, a sua volta attraversato da un rinforzo in grafite. Vediamo dove cercare le altre componenti della Dominion: della Les Paul abbiamo la scala “corta” da 24 3/4, l’uso del mogano per manico e cassa, e dell’acero per il top (sottile: mm 3), qui figurato (quilted) e con finitura burst River Bed, semicoprente da grigio scurissimo a nero su bordi e fasce, mentre su fondo e manico abbiamo finitura quasi completamente coprente (la Dominion è disponibile in altre quattro diverse colorazioni). Ancora di segno Les Paul, la collocazione del selettore a tre posizioni dei pickup, la disposizione a tre per lato delle meccaniche e la coppia di humbucker d’ispirazione vintage, trattandosi di due Seymour Duncan ’59; per finire con le ascendenze Gibson, la Dominion adotta ponte e attaccacorde in stile Tune-o-Matic e Stud Tailpiece, forniti dall’ottima Schaller. Da casa Fender la Dominion prende soprattutto forme e attenzioni ergonomiche, con le spalle che ricordano molto quelle della Telecaster e la parte posteriore del corpo veramente simile a quello della Jaguar. Da queste Fender, entrambe dotate di pickup single coil, si potrebbe far discendere la presenza dei due switch per l’attivazione del coil tapping degli humbucker. Di “compromesso” tra le due scuole le angolazioni modeste del manico e della paletta tra loro e rispetto alla cassa. A nessuno dei tre modelli citati da Morton possiamo invece far risalire l’adozione delle grandi camere tonali scavate sia nella zona superiore che inferiore della cassa, contribuendo a contenere il peso dello strumento (kg 3,390 per quello in prova) e conferendo tipiche qualità timbriche: un sound più leggero, meno massiccio e un po’ più “acustico”, tendente ad aprirsi un po’ dopo il tocco e con una gamma medio-alta tipicamente dolce. Jackson affrontò qualche anno fa l’argomento camere tonali con la serie custom shop USA Swee- Tone, in abete, acero e mogano; un esempio più classico di strumento in mogano/acero con camere tonali fu la Guild Bluesbird, usata dal chitarrista fusion Larry Carlton per una celebre versione di… Blues Bird, appunto.
CHI HA DETTO SOUTHERN ROCK?
La prima impressione che offre la Mark Morton è di strumento aggressivo e potente, ma non privo di eleganza. La seconda impressione si ottiene al momento di imbracciare lo strumento, convincente dal punto di vista ergonomico, comodo e bilanciato sia suonato da seduti che all’impiedi, nonostante le relativamente scarse smussature sul profilo superiore della cassa. Il punto di incontro tra manico e corpo è ottimamente accompagnato e consente l’accesso agli ultimi dei 22 tasti jumbo montati sulla tastiera in ebano. Il manico è in sé un gran punto di forza di questa chitarra e denuncia l’ispirazione classic rock del chitarrista americano: “…Adoro il southern-rock, il blues (…). I miei primi eroi furono Jimmy Page ed Eric Clapton…” La consistenza è molto di stampo Les Paul anni ’50 (ma potrebbe essere anche Tele o Strato dello stesso periodo); immaginiamo di prendere il manicone di una vecchia Junior e dargli una bella passata di pialla per portarlo dal mattarello che è a una più amichevole sezione a C schiacciata; ottima la lavorazione sensibilmente “a chiudere” del manico verso la tastiera (mm 44 al capotasto nello strumento in prova, anziché i 43 dichiarati, e mm 53 al 12° tasto, sempre sullo strumento in prova) che conferisce un gran feel da strumento “usato” alla mano sinistra. Ottima anche la finitura dei tasti, per i quali si è scelta una smussatura molto graduale sui bordi, apprezzata da molti e meno da altri per la tendenza dei due mi, se non si è abituati, a scivolare a filo tastiera. Procedendo nella conoscenza di questa Jackson, notiamo la qualità “giapponese” della verniciatura, tipicamente di spessore deciso, ma molto ben applicata e lucidata. Poi, le belle meccaniche Sperzel autobloccanti – forse eccessive per uno strumento privo di leva – con palettine in plastica simil-madreperla. Lo stesso materiale è usato per i segnatasti a blocco, attraversati da un inserto diagonale in simil-abalone.
Il numero di serie è impresso sull’ultimo tasto. Il coperchio del punto di regolazione del truss-rod, presente nonostante il rinforzo in grafite del manico, reca la sigla del barbuto endorser.
Vintage Humbucker??
La parte elettrica, come detto, consta di due humbucker Seymour Duncan ’59; misuriamo circa 7,38 kO per l’unità al manico e 8,28 kO per quello al ponte, giustamente un po’ più avvolto per avere più calore e potenza. La scelta di questi pickup conferma l’idea che nella testa di Morton e degli uomini della Jackson non passasse proprio l’idea di una chitarra “monouso” da metal, visto che i due classici e poco potenti Duncan in alnico V nascono per proporre un suono morbido e caldo di stampo assolutamente vintage. Vedremo poi come la possibile mancanza di definizione sui bassi in saturazione viene ovviata dal tipo di costruzione della Dominion. I controlli individuali di tono e volume, per volere di Morton, sono in posizione invertita rispetto all’usuale: ponte in alto e manico in basso, bisogna farci la mano. I pickup sono inoltre dotati di coil tap per la simulazione di un suono da monobobina. L’esemplare in prova necessita di una regolazione dell’intonazione al ponte per cinque corde su sei, il che non ci impedisce di apprezzare già da spenta la risonanza rotonda e definita della nostra Jackson.
OTTIMI CLEAN???
Iniziamo il test con un ampli Fender valvolare e, come sospettavamo, la Dominion non si trova fuori luogo. Timbri profondi e puliti bluesy e jazzy – esatto - sono a disposizione col pickup al manico; alla tastiera in ebano, ai tasti sostanziosi e alla rigidità strutturale necessaria per affrontare la distorsione dura fanno da contraltare le camere tonali, rendendo un suono tutto sommato più aperto, “caldo” e con un attacco meno freddo e pronunciato di, ad esempio, molte Les Paul Custom, anzi con una sorta di lieve espansione del suono che dà un respiro singolare agli accordi. Aggiungiamo con sorpresa che in questa condizione clean (suono spesso presente nei dischi dei Lamb of God) quest’ascia da metal, passata per un buon overdrive, si presta abbastanza a sonorità fusion anni ’80 e rock-blues, in cui il tocco del chitarrista troverà giusta soddisfazione…Anche il pickup al ponte, grazie alla potenza ragionevole, non risulta ingolfato né troppo medioso, permettendo ancora il rock classico, il blues e il r&b, persino qualche cenno country! Soprattutto attivando il coil tap, che su questa chitarra è godibile e risparmia i notori suoni asfittici e metallici. Interessanti, dolci e ben utilizzabili anche i suoni ottenuti dall’accoppiata dei due pickup, con e senza coil tap.
Crunch Time
Ora, però, un po’ di distorsione ci fa gola: tempo quindi di accendere il nostro vecchio Marshall per vedere se nel progetto della Dominion si sono rispettate le ascendenze southern e British di Mark Morton. La pasta è sgranata e aperta, definita e brillante, goduriosa negli accordi con corde a vuoto che escono con buoni bassi e senza impasti pure dal pickup al manico; insomma, una chitarra ottima per ritmiche e soli crunch. Per ottenere più grinta e ciccia bisogna far uso di un booster o un overdrive. Ed ecco che il crunch della Dominion si fa vero, ehm… dominatore, massiccio e pieno senza raggiungere la canestrata di medio-basse di una buona Les Paul Standard, sfruttando le camere tonali per asciugare e mantenere il fronte sonoro chiaro e “pulito”: in fondo uno strumento timbricamente elegante. Già, ora si apprezza in pieno la natura di questa Jackson: la costruzione neck-thru con la sua robustezza timbrica e il riciclo lungo del suono, e le camere tonali con l’effetto di schiarimento ed espansione del suono producono nell’insieme un effetto di grande personalità. Per tradurre l’effetto della liuteria in poche parole semplici: plettriamo le note, apprezziamo un suono che dapprima si comprime appena, dando morbidezza all’attacco, e quindi inizia a crescere un poco di volume e si prolunga lungamente nel tempo. Come se le camere tonali fossero dei polmoni e il neck-thru la colonna vertebrale di un corpo, la chitarra vive. Tutto ciò al momento si apprezza soprattutto in gamma media e bassa, ma lo strumento è nuovissimo e presto anche i cantini diranno la loro. Questo va compreso per il discorso assoli… Dando per accettato un timbro che tende al brillante e talora al metallico (in questo senso le GHS Boomers .010-.046 di serie ci mettono del loro), pieno sulle medie quanto basta, anche nei soli hardrock o rock-blues si possono già apprezzare personalità e qualità, con un invidiabile sustain nelle posizioni alte della tastiera. In distorsione abbiamo notato come l’intervento dei controlli di tono sia molto deciso (il circuito accoppia a potenziometri Alpha da 500 kΩ dei condensatori da 0,047 μF, invece dei più comuni 0,022 μF), conferendo un timbro nasalequando si gira la manopola sul tutto chiuso; in condizioni di moderata distorsione la cosa si traduce in un suono dal gusto “storico”, molto southern.
METAL BEN ARRANGIATO
Bene, sarebbe ora di accendere una testata Mesa/Boogie Rectifier, ma… causa crisi economica mondiale, la redazione ne è sprovvista. Nessuna paura, ci arrangeremo da bravi chitarristi con quanto abbiamo a disposizione per ottenere suoni metal degni della nostra Mark Morton: il combo Peavey Vypyr di queste pagine e qualche pedaletto…Tanta brillante esuberanza e tanta apertura timbrica si concretizzano sotto hi-gain in un timbro davvero “maestoso”, da chitarra che, ehm… domina la scena su tutti i fronti, ricca di frequenze tutte ben rappresentate. Confesso, da retrivo quasi-cinquantenne, di essere sempre un po’ scettico nei confronti degli strumenti orientali, ma bisogna ammettere che il marchio Jackson, con uno strumento di questa levatura, è ben all’altezza della sua fama. Per avere conferma di queste impressioni sfodero una personale ascia in mogano con scala da 25” e humbucker Lindy Fralin cattivi, restandoci purtroppo un po’ male nel capire che la Dominion, a parità di modelli (simil-Rectifier) e regolazioni,ne esce a testa ben più alta, priva di nasalità, più aggressiva e al contempo a suo modo elegante e nitida, più brillante senza essere troppo metallica e con tutte le giuste basse frequenze che fanno genere e invogliano al detuning a tutto spiano. Ma, restando nell’hi-gain, va detto che anche la cosiddetta rock fusion è ben nelle corde della Mark Morton. Notevole anche qui il respiro dello strumento, e il suo corpo, a riprova che non è obbligatorio montare pickup potentissimi per avere un suono grosso, anzi… E ci si guadagna sicuramente in dinamica, definizione e intellegibilità anche quando la distorsione è pesantissima. In definitiva, siamo sorpresi. Eravamo preparati a testare un rude strumento votato al metal e invece ci siamo ritrovati con una chitarra, considerata la fascia di prezzo, di gran classe e versatile come poche, perfettamente costruita e rifinita, essendo di natura più che altro estetica le uniche personalissime perplessità, che potrei indicare nei segnaposizione Shark’s Eye o nella sagoma della paletta. Le proporzioni generose del manico appiattito e l’ampia e levigata tastiera compound radius (da 12” a 16”) preferiscono forse l’esecutore di stampo moderno, i cui chops virtuosistici sono favoriti rispetto a chi punta su espressività e bending: insomma, va meglio chi non porta il pollice fin sulla tastiera. Per tanta ottima chitarra una custodia è purtroppo disponibile solo come optional.
Fabrizio Dadò