Fender Stratocaster: Una Chitarra Stratosferica
Leggi anche la sezione vintage dello speciale qui e qui
La Fender Stratocaster è annunciata per la prima volta sulla rivista "International Musician" dell'aprile 1954. In quella pubblicità, oltre a descriverne i pregi, si rende noto che la disponibilità degli strumenti sul mercato è prevista a iniziare dal mese successivo.
Dall’introduzione della Esquire, avvenuta quattro anni prima, sono cambiate molte cose: l’idea di una chitarra elettrica a corpo solido non scandalizza più né suscita ironie, la Gibson ha lanciato la Les Paul nel ’52, la fama di Leo Fender è ormai consolidata dall’invenzione del basso elettrico e da una linea di amplificatori professionali di grande successo, apprezzati per la timbrica e la solidità. La prima chitarra di Leo, accolta inizialmente con diffidenza, ha nel frattempo conquistato una posizione di primo piano, sviluppandosi in un modello a due pickup, sempre con il nome Esquire, ribattezzato poi Broadcaster e lasciando il primo nome a quello con un solo pickup, fino a divenire, finalmente, Telecaster. Le varie versioni sono state già adottate da musicisti come Jimmy Bryant, Bill Carson, B.B. King, Gatemouth Brown e numerosissimi artisti country. Tutto, quindi, nel ’54 lascia prevedere per il nuovo modello il successo "stratosferico" cui il nome sembra predestinarlo, anche se lo stesso Leo, nelle interviste rilasciate nei decenni successivi, ammetterà che mai avrebbe sognato che potesse avere dimensioni così vaste da farne uno strumento di riferimento nel suo campo.
FENDER, TAVARES E CARSON
Le origini della Stratocaster risalgono ad almeno un anno prima del '54; anche se Fender ha spesso dichiarato che pensava al seguito del primo modello già dal ’51, le testimonianze dei contemporanei fanno ritenere che nessun tipo di progettazione sia iniziata prima del ’53. A quel tempo Leo Fender accoglieva nel suo laboratorio molti musicisti con i quali scambiava opinioni, attento alle loro esigenze e aperto a ogni suggerimento. Uno di questi era Bill Carson, che aveva espresso il desiderio di uno strumento personalizzato più comodo e versatile della pur apprezzata Telecaster. Il primo elemento considerato da Carson come essenziale era la presenza di una leva del vibrato, che altri costruttori offrivano utilizzando soprattutto le popolari Bigsby. Un altro desiderio riguardava la sagoma del corpo, che secondo il chitarrista avrebbe dovuto avere forme più arrotondate sulle fasce per poggiare più comodamente sul fianco; l’esigenza è espressa anche da un altro chitarrista, Rex Gulleon, una conferma che vince le iniziali resistenze di Leo Fender. Nel ’53 giunge in forza allo staff Fender un uomo che si rivelerà essenziale per lo sviluppo del nuovo modello: Freddie Tavares. Contattato da Fender dopo un concerto, Tavares, che suona la lap steel (sua la parte slide sulla celebre sigla Looney Tunes), è assunto per collaborare al disegno di nuovi prodotti. Il primo nel quale è coinvolto è proprio la nuova chitarra. Fender solitamente riflette a lungo su come risolvere i problemi pratici che il fine da raggiungere pone, lasciando passare lunghi periodi di tempo tra questa fase e la realizzazione dei primi disegni ed eventuali prototipi. Comunque sembra certo che, alla fine del ’53, Carson si esibisca già con un prototipo noto semplicemente come Carson Guitar; anche se non se ne conoscono le specifiche, sembra che fosse poco più di una Telecaster modificata. Le smussature sul corpo rendono lo strumento più comodo ma sbilanciato e Tavares suggerisce di prolungare la spalla superiore per un aspetto più slanciato, collaborando anche al disegno di una nuova paletta che distingua ulteriormente il nuovo modello dalla Telecaster. Anche la decisione di montare tre pickup, più che rispondere a specifiche esigenze timbriche, è dovuta al desiderio di differenziare gli strumenti. Contrariamente a quanto fatto precedentemente, con il progetto di due pickup distinti per manico e ponte, in questo caso Fender sceglie di utilizzare un nuovo unico modello: sarà semplicemente la differente posizione sotto le corde a determinare le differenze sonore. Se il progetto della Telecaster è totalmente attribuibile a Leo Fender, il nuovo strumento nasce grazie ai suggerimenti di Carson e Gulleon, alla capacità di sintesi e al senso pratico dello stesso Leo e alla competenza tecnica e grafica con cui Tavares traduce il tutto in un insieme che unisce funzionalità e coerenza estetica. Rimane da risolvere un problema: una leva del vibrato tecnicamente ed esteticamente all’altezza.
UN VIBRATO ALL’ALTEZZA
Un inconveniente comune alla maggior parte delle leve in uso all'epoca, compresa la Bigsby, è un ritorno non sempre preciso all’intonazione originale dopo l’uso. Fender realizza un prototipo che sembra molto più preciso di ogni leva dell’epoca, ma a un prezzo non previsto: un deciso calo di sostegno delle note. Occorrono sei mesi di studio e diversi prototipi, ma alla fine la soluzione trovata risulta efficace, elegante e priva di controindicazioni. Invece di una leva separata dal ponte, Leo opta per una struttura che integra i due elementi, con un blocco inerziale che aggiunge massa e scongiura la perdita di sostegno che affliggeva le versioni precedenti; sei sellette indipendenti consentono di regolare intonazione e altezza di ogni corda individualmente. Al nome della chitarra provvede Don Randall, presidente della Fender Sales Inc. La Stratocaster è pronta al lancio definitivo. Il risultato finale riassume la filosofia già stabilita con la Telecaster: costruzione modulare, che consente la facile sostituzione di ogni componente, disposizione dei controlli a portata di mano, sagoma comoda che permette di indossare lo strumento e un equilibrio estetico impeccabile.
1954, LA STRATO-APPARIZIONE
I materiali scelti per la realizzazione della nuova chitarra Fender sono gli stessi usati per la Telecaster, con corpo in frassino, manico monoblocco di acero, pickup con calamite in alnico, ma calibrate in altezza per un maggiore equilibrio di volume fra le corde di diverso spessore, avvolgimento in filo di rame rivestito in heavy formvar invece del plain enamel usato precedentemente. La resistenza media dell'avvolgimento è di circa 6 kOhm, i potenziometri dei controlli di volume generale e tono dei pickup al manico e al centro (quello al ponte è lasciato privo di tono per garantire la massima brillantezza) sono logaritmici da 250 kOhm. Come sulla Telecaster, il pickup al ponte è inclinato per avere più corpo sulle frequenze basse. La nuova Fender Stratocaster è offerta a un prezzo di listino di $249.50, più $39.50 per la custodia rigida, sagomata per i primi esemplari. Disponibile anche una versione priva di leva per $229.50 (senza custodia). Sempre per distinguerla dalla Telecaster, che ha finitura Blond e battipenna nero, la Stratocaster è verniciata in un Sunburst a due toni e ha il battipenna bianco monostrato, fissato tramite 8 viti (alcuni rari esemplari hanno il battipenna in metallo anodizzato oro). I primi esemplari hanno le manopole dei controlli leggermente più piccole e di forma leggermente diversa da quelle usate in seguito e i coperchi dei pickup hanno angoli più arrotondati. Dopo pochi mesi entrambi i componenti sono sostituiti da altri di materiale plastico piuttosto rigido, simile alla bakelite; ma la loro tendenza a spaccarsi porta alla sostituzione, nel ’56, con un composto a base di nylon, più flessibile e duraturo, riconoscibile per un bianco più lucido.
1956, FRASSINO ---> ONTANO
Il frassino (ash) ha un suono brillante e belle venature, ma è difficile da lavorare e nel ’56 Fender decide di costruire le casse in ontano (alder), meno bello, ma facilmente reperibile, più costante nelle specifiche e, soprattutto, con meno problemi nella verniciatura. Il cambiamento porta a una leggera variazione delle caratteristiche sonore, con un timbro generalmente più caldo (da notare che gli esemplari con finitura blonde continuano ad essere realizzati in frassino). Sempre nel ’56 è offerta la possibilità di ordinare lo strumento con il corpo verniciato nel colore scelto dal cliente. A giudicare dagli esemplari d’epoca certamente originali, sembra che i primi colori custom fossero limitati a nero, blond e rosso.
ARRIVA IL PALISSANDRO
Nel corso del ‘59 il manico monoblocco in acero è sostituito da uno con tastiera in palissandro, portando una nuova variante alle caratteristiche sonore dello strumento. Un altro cambiamento riguarda il battipenna, a tre strati a base di nitrato e con montaggio a 11 viti. Le versioni precedenti hanno parti di plastica che tendono a ingiallire con il tempo, assumendo, secondo il grado di esposizione, diverse sfumature crema; i nuovi battipenna tendono invece ad assumere un lieve alone virato sul verde. La tastiera di palissandro applicata dal ’59 sui manici, ha raggio di curvatura di 7” e base piatta: è nota come slab board. A Fender sembra che la proporzione fra il palissandro della tastiera e l'acero del manico non sia ottimale, così dal ’62 decide di adottare una tastiera a base curva (veneer board) che, grazie alla percentuale maggiore di acero nel manico, dovrebbe portare teoricamente a un timbro più brillante.
1958, I CUSTOM COLORS
Nel corso del ’58 la sfumatura a due toni è sostituita da una nuova finitura a tre toni, con l’interposizione di una sezione rossa fra il nero e il giallo centrale; inizialmente il tipo di vernice usata si rivela sensibile alla luce e tende a perdere il rosso con il tempo. Solo nel ‘60 una nuova formula permette di avere un sunburst a tre toni più consistente e durevole. Nel ’58 è anche pubblicato sui cataloghi un elenco di colori custom selezionati dalla fabbrica, fra i quali appaiono Fiesta Red, Shoreline Gold e Blond; ma è solo nel ’60 che l’idea si afferma e sono aggiunti nuovi colori come Lake Placid Blue, Sonic Blue, Foam Green e altri, per un totale di 14 tinte diverse. Ricordiamo che all’epoca si trovava ancora stravagante suonare una chitarra rossa; ma i giovani rocker amavano essere... stravaganti. Che tuttavia i tradizionalisti fossero la maggioranza è dimostrato dallo scarso numero di strumenti con finitura custom giunti ai nostri giorni (naturalmente alludiamo a quelli con finitura indiscutibilmente originale).
1965, ORA DI... CAPITALIZZARE!
Le specifiche della Stratocaster rimangono invariate fino al ’65, anno in cui il marchio Fender è acquistato dalla CBS. La nuova gestione porta diversi cambiamenti nei metodi produttivi, anche se gli effetti non si hanno immediatamente, salvo per una nuova sagoma della paletta, ora di dimensioni maggiori. Per un breve periodo alcune Stratocaster del ’66 hanno la tastiera bordata da un binding, ma la rifinitura è abbandonata presto e quegli strumenti rimangono piuttosto rari. Nel ’68 la classica finitura alla nitrocellulosa è abbandonata in favore di una al poliestere, più semplice da applicare e più resistente, ma che interferisce maggiormente, soprattutto se applicata piuttosto spessa, con la risonanza naturale dello strumento. Da questo momento, una crescente serie di cambiamenti infelici, come pickup non impregnati e controlli di qualità meno accurati, porta a una lenta e inesorabile decadenza del marchio. Nella foto a destra, una Stratocaster ripresa da un depliant Fender degli anni '70 (circa 1973).
1981, VOGLIA DI VINTAGE
Nell'81 la CBS si rende conto che deve fare qualcosa per riportare a un buon livello la reputazione del marchio Fender e assume due uomini che lavorano per la Yamaha: John McLaren e Bill Schultz. Il secondo affida il compito di rinnovare la produzione a un altro uomo proveniente dal marchio giapponese, Dan Smith, che lavora immediatamente alla riorganizzazione degli impianti e alla produzione di due linee distinte: la serie Vintage, che deve riprodurre le caratteristiche dei modelli base degli anni ’50 e ’60, e la serie Standard, versioni moderne di quegli stessi modelli. Nell’82 le due serie appaiono sul mercato e ottengono immediatamente un buon successo, nonostante alcune inesattezze nei dettagli delle reissue (repliche), riabilitando in gran parte il nome Fender. Contemporaneamente, per combattere la concorrenza delle copie realizzate dai marchi giapponesi, è introdotta una serie di riedizioni costruite in Giappone dalla Fujigen-Gakki su specifiche Fender sotto il marchio Squier. Con pickup made in USA e dettagli più accurati degli strumenti americani, le Squier, sebbene prodotte con materiali meno pregiati, si rivelano ottimi strumenti dall'eccellente rapporto qualità/prezzo e ottengono un successo senza precedenti. I primissimi esemplari hanno il marchio Fender - Squier Series, presto cambiato in Squier by Fender per evitare confusioni con le Vintage costruite negli USA. La Standard, nota anche come “Dan Smith Stratocaster”, ha il manico in due pezzi di acero con tastiera di palissandro o monoblocco di acero, corpo in ontano, paletta piccola, anche se di forma leggermente diversa da quelle vintage, parti metalliche cromate, meccaniche cromate con una F stampata sul dorso, manico avvitato con quattro viti senza Tilt-neck, pickup X-1 (resistenza 7,3 kOhm) al ponte e due Standard (6 kOhm), tutti con calamite di uguale lunghezza stile anni ’70, filo degli avvolgimenti con rivestimento polysol. La finitura è poliuretanica su base al poliestere. Questo modello rappresenta il primo passo di un nuovo corso alla Fender, che sempre più dividerà la produzione in una linea che offre riproduzioni sempre più fedeli degli strumenti d’epoca e una che offre nuovi modelli destinati al musicista moderno e incorporano una serie di modifiche al disegno originale intese come adeguamento alle nuove tecniche esecutive ed esigenze sonore: tasti medium jumbo, tastiere con raggio di curvatura di 9,5” o 12”, varie configurazioni di pickup, nuove versioni del ponte/vibrato, modelli dotati di Floyd Rose, oltre, naturalmente, a finiture sempre più vistose e stravaganti. Nel 1985 i dipendenti della Fender rilevano il marchio dalla CBS e lavorano sodo per riportare in auge gli strumenti ponendo maggiore cura nella realizzazione degli strumenti vintage e proponendo sempre nuovi modelli fino a giungere alla incredibile quantità attuale, cui dall’87 si aggiungono le produzioni limitate del Custom Shop.
Mario Milan
Mario Milan e Fabrizio Dadò. Consulenza tecnica Piero Terracina