Chi lo ha prodotto?
Stefano Mastruzzi, direttore del Saint Louis di Roma [Saint Louis College of Music – www.slmc.it ; ndr] ed editore dell’etichetta Saint Louis Jazz Collection. La distribuzione è affidata alla Egea.
Dal punto di vista della composizione, ma anche dell’esecuzione, che tipo di approccio hai oggi?
Non mi capita spesso di scrivere brani originali, però, adesso che ho una maggiore consapevolezza delle relazioni tra melodia e armonia, le idee prendono forma da sole. Mi capita di imbracciare la chitarra e in pochi minuti quello che ho in mente prende forma. E sicuramente è una bella song, semplice e spontanea anche dietro un’apparente complessità armonica o tecnica. Diversamente, se ci ragiono troppo, viene fuori qualcosa di “alienante”, si capisce che il tutto è costruito e non arriva da dentro. Fortunatamente, quando si registra un CD gypsy, si usa inserire giusto un paio di composizioni originali e il resto sono standard rivisitati. Questo permette di avere nel progetto solo le migliori composizioni proprie, così tutto il disco ne trae beneficio. Nel rock, invece, sei fai un disco solista strumentale, sei costretto a suonare tutti brani originali: nel 99% dei casi, dopo la seconda traccia vorresti lanciare il disco dalla finestra!
La gioia fa capolino nelle tracce del CD e nel tuo playing. È un buon momento per te?
Se devo essere sincero, ho ritrovato l’entusiasmo e la voglia di crescere che avevo i primi anni che cominciavo a studiare la chitarra. In Italia non hai molta possibilità di esprimerti come chitarrista rock, per di più solista. Questo è frustrante e demotivante per chi passa ore a studiare, e poi, dal vivo, ha uno spazio per il solo - il momento di gloria – di pochi secondi. Fateci caso: se qui sei il chitarrista di Vasco, ad esempio, sei una star; diversamente, non sei nessuno. Ci sono tantissimi grandi chitarristi in Italia, ma non hanno spazio per esprimersi. E io non ci sto a questo giochetto...
Il tuo pubblico è sicuramente cambiato, probabilmente oggi è meno “settoriale”. Come accogli questa variazione?
Nella musica colta, la classica e il jazz, c’è tutto un pubblico che ama andare ai concerti. È fantastico, ti capita di suonare davanti ad almeno tre o quattro generazioni di persone. La sfida è riuscire a coinvolgere tutti, dai bambini agli anziani, fino alle persone che sono lì per puro caso. E quando arriva l’applauso ti senti veramente felice e appagato. Si suona anche per questo, per dare e ricevere qualcosa dal pubblico. Non si può pretendere di “ammazzarlo” con una valanga di suono e poi pretendere che ti ringrazi per questo!